GRANA PADANA

Nella Lega soffia il vento del nord: "Durigon estraneo ai nostri valori"

All'iniziale imbarazzo, ora contro il sottosegretario fedelissimo di Salvini si levano voci autorevoli del partito. In Piemonte l'altolà di Giordano: "Libero di provocare ma lasci stare Falcone e Borsellino che per la libertà ci hanno rimesso la vita"

Il caso Durigon non investe soltanto i rapporti della Lega con gli alleati di governo, ma pone una questione non meno importante all’interno dello stesso partito di Matteo Salvini. Il sottosegretario al Mef che ha arringato la folla di Latina, sua città e suo feudo elettorale strappato alla destra missina storicamente forte nell’Agro Pontino, perorando il ritorno alla denominazione in onore di Arnaldo Mussolini, fratello del Duce, del parco cittadino intitolato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ha (ri)aperto la visione e la rivendicazione su una parte importante del dna leghista.

Poco c’entra o comunque non può essere ricondotto esclusivamente ad esso, il periodo in cui il partito oggi nelle mani del Capitano fu guidato con spregiudicatezza e abilità ma senza mai derogare al principio dell’antifascismo dal Senatur. Sarebbe fuorviante e riduttivo classificare come nostalgia di quei tempi lo sconcerto e la repulsione provocata in buona parte della Lega, soprattutto al Nord, dalla sortita dell’ex sindacalista dell’Ugl divenuto un capataz in quell’Italia che proprio Umberto Bossi vedeva come zavorra e che si sarebbe poi tramutata in zatterone con timone a destra (forse troppo) offerto da Salvini nel suo processo di nazionalizzazione del partito.

C’è di più della linea scolpita nella pietra padana dall’Umberto. C’è la radice del movimento che non fu come volle dire Massimo D’Alema una costola della sinistra, ma neppure qualcosa che richiamasse ceneri di una fiamma mai appartenuta al movimento che da autonomista e addirittura secessionista non ammiccò mai, e sarebbe stato ben strano, a nazionalismi quelli sì nostalgici. Neppure il tanko, il trattore trasformato in carro armato dai serenissimi arrampicatisi sul campanile di San Marco, riportò per un istante alle immagini dell’Istututo Luce o, peggio, ai tentati golpe artatamente sminuiti in commedia stile Vogliamo i colonnelli.

Figurarsi in Piemonte dove la prima classe leghista (e pure parte della seconda) quella sì poteva apparire come una costola del Pci. Da Gipo Farassino a scendere, gli ex compagni conquistati dal diplomato alla scuola Radio Elettra di Cassano Magnano rivelatosi un genio della politica, non si sarebbero contati. Con i missini, prima della svolta finiana di Fiuggi, ancora nella catacombe, la Lega dalla sorgente di Pian del Re, mai volse lo sguardo da quelle parti. L’unico a farlo, guadagnandosi il titolo di mosca nera con conseguente messa ai margini, fu Mario Borghezio.

“Comandante quando il nostro popolo sente il bisogno di una rivoluzione nazionale, noi dobbiamo metterci alla guida di questa rivoluzione. Questo è il compito anche tuo”, disse l’Obelix torinese al cospetto di Stefano Delle Chiaie fondatore di Avanguardia Nazionale, primula nera del neofascismo italiano. La mosca nera piemontese era stata candidata nel Lazio alle Europee, proprio per quell’essere tale. Certo, poi Salvini avrebbe filato con CasaPound, ma al di sopra delle linea gotica la Lega, salvo rarissime eccezioni, è rimasta lontano da quegli ambienti.

Dunque non stupisce, ma sorprende per l’effetto e il peso che avrà sul dibattito interno, l’esternazione (una delle rare) di Massimo Giordano, già assessore regionale, ex sindaco di Novara e tuttora voce importante e ascoltata nella Lega piemontese. “Sarà per il periodo estivo ma sono rimasto stupito dall'assenza di reazioni alla ormai nota uscita di Durigon sul fratello di Mussolini. Sono nella Lega da 28 anni – scrive Giordano – e ci sono entrato perché ho sempre respirato con Bossi, Maroni e Salvini, uno spirito anticomunista e antifascista ossia antitotalitarista. Se Durigon vuole fare delle provocazioni – conclude l’esponente leghista – cosa assolutamente lecita, almeno lasci stare Falcone e Borsellino che per la libertà ci hanno rimesso la vita”. 

Altre parole incise con lo scalpello. Seguite da una sequela di commenti a favore, ulteriore segno di come la Lega esportata da Salvini oltre Roma Ladrona e con frettolosi quanto interessati proseliti scricchioli laddove è nata con bel altri presupposti, tanti, molti anche contraddittori, ma dei quali non ha mai fatto parte la destra nostalgica o i suoi epigoni maldestramente mascherati.

Il Piemonte, dove l’attuale sindaco di Novara Alessandro Canelli prima di diventare una figura di punta della Lega mosse i passi nelle organizzazioni giovanili della sinistra e il cui segretario regionale, nonché capogruppo alla Camera Riccardo Molinari non ha mai mancato la partecipazione al 25 Aprile o alla commemorazione dei partigiani martiri della Benedicta, è lontano, molto lontano dalle squinternate sortite alla Durigon. Per non dire della parlamentare europea Gianna Gancia le cui posizioni liberali e nettamente lontane da una destra postfascista hanno sempre connotato il suo agire politico segnando oggi una distanza abissale dalle sortite del sottosegretario laziale. Che non vanno, tuttavia, ridotte a maldestre esternazioni, celando invece qualcosa di più profondo. Certo anche nella Regione nel cui territorio nasce il dio Po di bossiana memoria, qualche mosca nera sembra talvolta palesarsi anche nell’esecutivo con scelte di collaboratori e altre iniziative non proprio lontane dall’evocazione di fez e orbace.

Ma se anche un senatore, come il verbanese Enrico Montani condivide sulla sua pagina il post di Giordano, appare chiaro come in terra allobroga la questione Durigon non sia e non possa essere rubricata a un inciampo cui rimediare di fronte alle richieste di dimissioni del sottosegretario avanzate da vasta parte dell’altrettanta vasta maggioranza di governo. Il tema del posizionamento del partito rispetto a temi come quello sollevato dal caso Durigon e l’attenzione da porre nella rincorsa per annullare il vantaggio di Fratelli d’Italia nei sondaggi emerge con chiarezza ai più alti livelli del partito in Piemonte. E le decisioni di Salvini non potranno che pesare, in un senso o nell’altro.

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