LA CONTA

Il piacione, il secchione e la stellina

Damilano, Lo Russo e Sganga: la novità, la competenza amministrativa e la continuità con la giunta grillina. Probabilmente sarà necessario il ballottaggio, ma una cosa è certa: con il voto di oggi e di domani si chiude la stagione di Appendino

Vada come vada, il voto di oggi (e di domani fino alle 15) segnerà per Torino la fine di un quinquennio incominciato al grido di ho-ne-stà, ho-ne-stà, preceduto dai vaffa e terminato in un inevitabile quanto prevedibile declino, ben presto auspicato anche e soprattutto da molti di coloro che avevano affidato sogni e speranze (deluse) a Chiara Appendino e al Movimento Cinquestelle.

I libri di storia dedicheranno pagine (forse poche) ai cinque anni in cui, mese dopo mese, giorno dopo giorno l’immagine della marcia trionfale verso Palazzo di Città, insieme alle promesse, si è stinta e “quella brava” – appellativo troppo generosamente affibbiato ad Appendino in contrasto a Virginia Raggi che condivise il giorno della vittoria – alla fine avrebbe fatto il gran rifiuto, guardando ad altri lidi nel partito (ormai lo si può chiamare così) nel frattempo finito nelle mani dell’avvocato del popolo di Volturara Appula e sempre più in basso nel sondaggi, gli ultimi prima del silenzio imposto.

L’unico dato certo di fronte alle urne, il cui responso dipenderà anche da quante schede vi finiranno dentro, è la svolta – attesa e non nascosta dalla maggioranza dei torinesi indipendentemente se di destra, di sinistra, di centro o con le idee ancora confuse – il cambiamento, mettendo in un cassetto il lustro appendiniano.

Vincerà Paolo Damilano? Vincerà Stefano Lo Russo? (l’ordine di citazione è rigorosamente alfabetico). Ci sarà un’assai improbabile sorpresa al primo turno che tutti i dati tendono ad escludere, oppure più concretamente si andrà al ballottaggio? Come partire per il testa a testa con due settimane di campagna elettorale davanti è importante, anche se i precedenti insegnano che prendere più voti oggi e domani non garantisce affatto il successo tra quindici giorni.

Oggi è il giorno del silenzio, parleranno le solite foto dei candidati con la scheda sospesa sull’urna in attesa dei flash. Il solito film. La stessa campagna elettorale non è stato certo un susseguirsi di scene d’azione, non di rado è stata coinvolgente come la Corazzata Potemky. I riflettori, come sempre, sono accesi sui protagonisti principali. 

Il piacione 
L’imprenditore acqua&vino, il “piacione da aperitivi” come lo ha definito intingendo la penna nel curaro Sergio Chiamparino che altro inchiostro aveva usato per firmare da governatore la nomina proprio di Damilano alla presidenza del Museo del Cinema, ha proprio nello skill dell’uomo di successo nell’impresa quel quid, per usare il termine al quale Silvio Berlusconi non riuscì mai a dare un volto se non il suo, che piace all’elettore moderato senza per forza essere conservatore. Ma è anche la novità, unita al fatto di non essere un politico, che potrebbe rivelarsi un atout per il candidato lesto e deciso a posizionarsi nella maniera più autonoma possibile rispetto ai partiti di centrodestra che, comunque, saranno gli indispensabili artefici (e susseguentemente beneficiari) della sua eventuale vittoria.

Il secchione
Il segretario del Pd avrebbe potuto scegliere per il professore del Politecnico una definizione meno evocativa di giovanili antipatie sui banchi, ma quello di Enrico Letta è ovviamente un complimento e pure una garanzia di capacità e impegno da fornire agli elettori di Lo Russo. Chiamparino nella parte del vecchio saggio aveva subito corretto il tiro spiegando che il suo auspicato successore indiretto è si secchione, ma uno di quelli che passano il compito agli altri. Basterà questo a rendere simpatico chi di suo non risulta a molti esserlo, anche se solo a una prima ingannevole impressione. Ma, si sa, quando si tratta di mettere la croce sul nome nella scheda tutto conta, anche quel sorriso, quella battuta, quegli ammiccamenti che proprio non sono nelle corde di colui che per cinque anni, da capogruppo, è stato un mastino alle caviglie della sindaca. E questo è un grande merito di Lo Russo. Come il suo tenere la barra dritta anche quando la pochette contiana sembrava pronta a sventolare come una bandiera bianca di tregua in vista del matrimonio tra Pd e M5s che la sua avversaria ancora in tolda ha per molto cercato, guardando sempre al Poli, ma verso il rettore Guido Saracco, non certo al professore (tra i più giovani titolari di cattedra) che da geologo non ha mai smesso per cinque anni di scavare nelle faglie dell’amministrazione comunale pentastellata. Un’attività che lo ha inviso enormemente agli occhi della sindaca, ma che è anche una garanzia di distanza e cambiamento rispetto a ipotesi di riedizioni del modello giallorosso nazionale.

La stellina 
A dispetto della sua figura minuta, Valentina Sganga ha le spalle larghe, tanto quanto devono essere perreggere il peso di quella che non può certo dirsi un’eredità nel senso di patrimonio. La decisione di non ricandidarsi di Appendino e il precipitare dei consensi di un movimento travagliato, scosso e lacerato dagli eventi dell’ultimo anno, portano la capogruppo pentastellata a un compito tutt’altro che facile. Consapevole, lei non ha ceduto per tutta la campagna elettorale, a quel peso. Peraltro cercato caparbiamente. Due avversari, sul fianco destro e sul quello sinistro come inevitabile conseguenza per una forza politica che pur con le capriole fatte per non potersi più dire (semmai lo ha potuto) di non essere né di destra né di sinistra, proprio a Torino ha vissuto il no all’alleanza col Pd. E lei di no lo ha sempre detto. Non basterà questa coerenza delle origini per portarla al secondo turno. Ma la sua posizione anche in duro contrasto con la sindaca che avrebbe voluto un altro candidato, può essere un chance per la stellina grillina con le spalle larghe.

Il gramsciano   
Tra comprimari e figuranti da portare la somma dei candidati sindaco a tredici, molte saranno meteore, altri magari chissà ci riproveranno tra cinque anni. Nel frattempo conteranno i voti, quelli che almeno in parte dovranno convergere su un candidato o l’altro tra due settimane. Più di un cameo, quello che proprio per i consensi che prenderà o non prenderà sarà interessante osservare. Incarna e rappresenta la sinistra radicale, nelle sua molteplici sigle, lo storico Angelo D’Orsi. Ha messo la cultura al centro del suo programma il settantaquattrenne professore che ha incassato l’endorsement di Ken Loach, il regista cult dei radical chic dei due mondi. Classe operaia recuperata al paradiso da una gauche caviar? C’è un milieu culturale che misurerà il suo peso elettorale su una figura di certo non protagonista nella contesa per la guida della città, ma neppure, per il suo profilo, semplice comparsa.

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