TERRE ALTE

Unioni montane a capocchia,
"ora serve una nuova legge"

Erano nate per tagliare le poltrone e invece ne hanno aggiunte: ecco come le associazioni dei comuni d'alta quota in Piemonte sono arrivate a 55. Bussone (Uncem): "Riformare il testo Maccanti". L'impegno di Lega e Partito democratico

Dovevano servire per tagliere le poltrone e invece sono aumentate. Tra scissioni e beghe di paese le Unioni dei Comuni montani, che hanno sostituito in Piemonte le Comunità montane, hanno raggiunto in dieci anni il numero monstre di 55. “È ora di mettere mano a questa stortura, soprattutto perché con la nuova legge di bilancio il fondo nazionale destinato alla montagna passerà da 10 a 100 milioni per raggiungere nel 2023 i 200 milioni – dice il presidente nazionale dell’Uncem Marco Bussone –. Le Unioni montane dovranno essere capaci di realizzare progetti di sviluppo credibili che vadano oltre i singoli campanili”.

Al convegno di OstanaBussone, assieme al suo luogotenente in terra allobroga Roberto Colombero, ha ottenuto da Lega e Partito democratico la promessa di riformare la cosiddetta legge Maccanti; quella cioè che nel 2011 ha archiviato le Comunità montane per istituire le Unioni montane. Una questione solo lessicale? Non proprio. Il tema è tornato attuale proprio nei giorni in cui le Comunità montane stanno ricevendo i decreti di liquidazione: “Quel provvedimento va riformato” ha detto questa mattina en passant il dem Daniele Valle, durante il suo intervento in Consiglio regionale, dov’era in discussione la nuova legge sull’eliski, sempre a proposito di montagna. Era stato lui a prendere l’impegno di cambiare la norma, assieme al capogruppo del Carroccio Alberto Preioni.

Sono passati dieci anni da quando la giunta regionale di centrodestra guidata da Roberto Cota ha approvato la riforma che porta il nome dell’allora assessore Elena Maccanti, oggi deputata della Lega, e sono gli stessi rappresentanti dei comuni montani a chiedere un tagliando. Ma che differenza c’è tra le vecchie Comunità montane e le nuove Unioni dei comuni? A guardarle da lontano il principio è lo stesso: municipi di piccole dimensioni si associano per gestire alcune funzioni – dall’anagrafe allo scuolabus – in modo congiunto. Il problema è semmai la stabilità di questi organismi.

A differenza delle vecchie comunità montane, infatti, ora i Comuni si prendono e si lasciano con relativa facilità: le scissioni sono all’ordine del giorno, l’instabilità è altissima. Uno degli obiettivi della nuova legge era di “ridurre le poltrone”, secondo un principio già tanto in voga nel 2011, eppure l’esito è stato opposto: le Comunità montane erano 48 prima di essere accorpate a 22 da Mercedes Bresso. Ora le Unioni montane sono 55. Una delle ultime nate mette insieme solo due comuni: Pamparato e Garessio a metà tra Monregalese e Alta Val Tanaro.

Da anni va in scena un valzer che porta sindaci ad associarsi sulla base di affinità politiche, trascurando talvolta anche la contiguità geografica. Per esempio che ci fa Rubiana, un paesino con meno di tremila anime in Valsusa, nell’Unione Alpi Graie con Ceres, Groscavallo, Lemie, Traves, Usseglio e Viù? E perché questi si sono sganciati dall’Unione montana delle Valli di Lanzo, Ceronda e Casternone? Tanto per capirci da Rubiana a Groscavallo ci sono 50 chilometri di distanza. Ma questo è solo un caso. Lungo la Dora Baltea ci sono due Unioni montane: da un lato quella omonima del fiume, dall’altro gli “scissionisti” dell’Unione montana di Mombarone. Complessivamente le Unioni montane comprendono 520 Comuni piemontesi tra cui i più grandi sono Giaveno, Avigliana e Domodossola. Tra le stravaganze di certi sindaci basti pensare che l’Unione più piccola ha poco più di tremila abitanti, quella più grande (la Val di Susa) supera i quarantamila. L’Alta Langa è quella che mette insieme il maggior numero di municipi: 38. “Siamo all’anarchia” conclude Bussone che ora chiede al Consiglio regionale di mettere ordine.

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