PREVISIONI

Un Piemonte dipinto di blu, centrodestra vola nelle urne

Simulazione del voto politico con l'attuale sistema elettorale. La coalizione di Salvini e Meloni farebbe man bassa di seggi. Torino e la vittoria di Lo Russo da mettere a frutto. L'incognita astensionismo e le circoscrizioni elettorali da rivedere

Quale colore sarebbe preponderante dall’esito delle urne – il blu del centrodestra o il rosso nelle sue varie declinazioni a indicare il centrosinistra – nella nuova carta geografica del Piemonte dopo la modifica dei collegi uninominali della Camera imposta dalla riduzione dei parlamentari? Prova a dare una risposta, nel più ampio contesto del Paese, la simulazione appena realizzata da YouTrend in collaborazione con Cattaneo Zanetto & Co ipotizzando una chiamata al voto con l’attuale legge in vigore, il Rosatellum, e con tre possibili scenari di altrettante alleanze. In ogni caso il Piemonte uscirebbe tinto tutto o quasi di blu. Da qui a dire che il centrodestra, peraltro animato fin d’ora da tensioni interne e corse per la leadership, può dormire sonni tranquilli ce ne passa. Lo stesso vale per il centrosinistra che pur avendo riconquistato la guida del capoluogo e potendo mettere a frutto la vittoria di Stefano Lo Russo, dovrà comunque vedersela con il fortino della Ztl modificato e allargato nei confini dal ridisegno dei collegi.

Le variabili vanno ben oltre a quelle ipotizzate nella simulazione e riferite, sostanzialmente al differente posizionamento delle forze centriste (da Italia Viva a Coraggio Italia, passando per Azione e +Europa, ma anche immaginando un’alleanza ristretta a Lega e Fratelli d’Italia con Forza Italia nell’area di Centro). La più imprevedibile, ma anche la potenzialmente più pesante tra le variabili riguarda proprio la partecipazione al voto o, guardandola dal lato opposto, l’astensione. Continuerà ad essere meno della metà degli aventi diritto al voto, come accaduto nella maggior parte delle grandi città nelle ultime comunali nell’ottobre scorso, o ci sarà un recupero e, nel caso, dove finiranno le scelte espresse sulle schede da chi ha deciso di tornare ai seggi?

“È ipotizzabile che la quota di astensione si riduca di circa il 15 o 20 per cento, questa quota di elettori recuperata rispetto alle ultime elezioni risulterà decisiva”, osserva Federico Fornaro, capogruppo di LeU alla Camera, nella veste di esperto di sistemi elettorali, argomento cui ha dedicato più di un saggio. “Oggi prevedere come si muoveranno questi astensionisti che torneranno a votare è davvero difficilissimo. Nel passato, quelli che possiamo chiamare elettori intermittenti quando sono tornati al voto si sono mossi a sciami, non certo distribuendosi proporzionalmente al peso delle forze politiche in campo. Basti ricordare come nel 2013 quando i sondaggi davano una settimana prima del voto il M5s attorno al 15%, i grillini arrivarono al 25. Alle europee del 2014 a fronte della stima più alta che lo dava al 30%, Matteo Renzi superò il 40. Questa volta, alle comunali, i numeri ci hanno detto che lo sciame è rimasto sul divano. Credo che non sarà così alle prossime politiche”. 

Perché ci dovrebbe essere un recupero? Fornaro la spiega rimandando a uno schema pubblicato in uno dei suoi libri, Fuga dalle urne: un 40 per cento degli elettori è fedele ai seggi (non ai partiti), un 20 di astensionisti cronici e un altro 40 per cento di elettori intermittenti che decidono se e cosa votare negli ultimi dieci giorni e sulla base di vari fattori, il primo della quale è l’importanza della consultazione, tant’è che c’è una quota che vota solo alle politiche. C’è poi il fattore dell’offerta politica che ha la cifra della novità. E poi più il risultato di presenta incerto, più gli intermittenti sono mossi ad andare a votare. “Stimo, come peraltro fanno molti ricercatori, una partecipazione tra il 65 e il 70 per cento, a fronte della media del 55 alle ultime amministrative. Se così sarà c’è un qualcosa di molto rilevante di cui tenere conto, ma che è oggi difficilissimo ipotizzare come si muoverà”.

Un’altra variabile, meno incerta a parere del parlamentare piemontese è data proprio dalla modifica dei collegi intervenuta in seguito alla riduzione del numero dei deputati da eleggere. “La provincia di Torino per una coalizione tra Pd, M5S e LeU diventa più contendibile rispetto al 2018. Non parlo di collegi vincenti per il centrosinistra, ma contendibili sì. Attenzione però a una possibile sottovalutazione – avverte Fornaro – quella della perdita di specificità dei collegi dovuta al loro aumento di dimensioni”. L’immagine riporta al collegio Ztl vinto dal dem Andrea Giorgis, che non sarà più ristretto com’era. Per contro questo potrebbe favorire il centrosinistra rispetto allo scenario passato per altri collegi della provincia torinese dove il centrodestra ha fatto man bassa.

Un Piemonte decisamente blu in tutte le province, eccetto quella di Alessandria dove il colore del centrodestra si attenua un poco confermando un dato storico, e una Città metropolitana dove il rosso, più o meno tiepido, potrebbe accentuarsi anche grazie alla conquista dell’amministrazione del capoluogo, anche se l’effetto Lo Russo potrebbe richiedere più tempo. E, ad oggi, almeno fino all’elezione del Presidente della Repubblica, non si sa quando si andrà a votare. E anche se si voterà ancora con il Rosatellum o si andrà verso una legge proporzionale, per Fornaro lo si capirà dopo il voto per il Quirinale. 

Intanto sul voto del Piemonte potrebbe aprirsi una questione tecnica, ma non senza impatto. “Se si va al voto a scadenza naturale nel 2023, mantenendo il Rosatellum, si porrebbe il problema delle circoscrizioni. Dal censimento del 2011 la nostra regione presentava più abitanti dell’Emilia-Romagna che tutt’ora ha una sola circoscrizione elettorale. Gli ultimi rilevamenti – spiega Fornaro – dicono che oggi ha più abitanti del Piemonte. Pur non essendoci un obbligo, sarebbe illogico non attuare una rivisitazione. Nel caso, si attribuiranno due circoscrizioni all’Emilia-Romagna o si ridurrà ad una sola le attuali due del Piemonte?”. Tecnicismi, dietro ai quali si nascondono complessi meccanismi di attribuzione dei seggi che, a seconda di quale decisione si assumerà, potrebbero favorire o meno soprattutto i partiti minori. L’ennesima variabile sul tavolo quando resta, sopra tutto, quella della data del voto.

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