POTERE & FINANZA

Galateri lascia Generali e mette gli occhi su Iren

L'ex amministratore delegato di Fiat e ora uomo di Mediobanca annuncia che non si ricandiderà all'assemblea del 29 aprile. Sullo sfondo il braccio di ferro tra piazzetta Cuccia e gli arzilli vecchietti. Del Vecchio e Fondazione Crt confermano il patto

“Ho fatto i conti e quasi con stupore verso me stesso ho realizzato che sono ben 11 anni che rivesto la carica di presidente di Generali”. Inizia così la lettera in cui Gabriele Galateri di Genola annuncia ai consiglieri di amministrazione il suo addio al Leone di Trieste. Prima ancora, per sette anni, aveva ricoperto l’incarico di vicepresidente e “questa lunga esperienza – spiega – mi porta a condividere pienamente il desiderio di rinnovamento del Consiglio”.  

Settantacinque anni, torinese, Galateri è cresciuto alla corte di Cesare Romiti in quella che è stata l’ultima nidiata di manager Fiat prima della grande crisi del gruppo e la successiva internazionalizzazione con Sergio Marchionne. Marito di Evelina Christillin, è stato uno degli uomini chiave della finanza degli Agnelli che gli ha affidato l’Ifil, una delle casseforti di famiglia, che ha guidato dal 1986 al 2002, anno in cui diventa per pochi mesi l’amministratore delegato di una Fiat sull’orlo della bancarotta. Di lì il passaggio a Mediobanca e da piazzetta Cuccia il salto a Telecom e infine alle Assicurazioni Generali che ora è in procinto di lasciare.

Non farà parte della lista del Consiglio uscente che si presenterà il prossimo 29 aprile al cospetto degli azionisti, nell’assemblea in cui il ceo Philippe Donnet, osteggiato da Francesco Caltagirone, Leonardo Del Vecchio e Fondazione Crt (oltre il 16,3% del capitale in tutto), cerca la riconferma forte del sostegno proprio di Mediobanca. Per Galateri sono venuti meno i requisiti formali di indipendenza e in più, in vista del possibile scontro in assemblea con una lista di maggioranza che potrebbe venir presentata da Caltagirone (a marzo), pare si sia deciso nella compagnia di puntare su una presidenza rosa (con precisi requisiti di fit and proper) per far leva su una best practice molto gradita agli investitori istituzionali che con il 34,75% del capitale rappresentano il vero ago della bilancia. Insomma, non proprio un beau geste quello di Galateri, quanto piuttosto un atto dettato dalle esigenze.

Ma di andare in pensione Galateri pare non abbia ancora nessuna intenzione e c’è già chi ipotizza per lui un futuro in Tim al posto di Salvatore Rossi (più che altro parrebbero sue velleità); più probabile che abbia individuato in Iren, la grande multiutility che fa capo ai comuni di Torino, Genova e Reggio Emilia, il suo buen retiro. Ma anche qui i suoi piani si scontrano con un'esigenza di rinnovamento manifestata dal sindaco di Torino Stefano Lo Russo, cui spetta l'onere della designazione. Certo, anche attraverso la consorte Christillin, Galateri potrebbe far valere i buoni rapporti con Piero Fassino, predecessore di Lo Russo a Palazzo Civico, ma su entrambi potrebbe pesare la simpatia con cui la presidente dell'Egizio avrebbe osservato la candidatura di Paolo Damilano.

Nel testo della sua lettera Galateri definisce gli anni alla presidenza “un’esperienza magnifica, centrale nella mia vita”. Ma è tornato anche sulle tensioni tra gli azionisti che stanno caratterizzando la governance. Tensioni in primis con l’ex vicepresidente Caltagirone e il consigliere Romolo Bardin, rappresentante di Delfin (società di Del Vecchio) e sfociati in lettere di dimissioni con accuse di non imparzialità nei confronti del presidente del Leone e in esposti alla Consob e all’Ivass da parte della compagnia per sospetto di patto di sindacato occulto fra il patron del Messaggero, Del Vecchio e la fondazione piemontese.

Un altro risvolto degli intrecci di potere torinese su questa vicenda porta al rapporto storicamente solido tra Galateri e Fabrizio Palenzona, il quale – com’è noto – proprio sul dossier Generali e in particolare sulla questione Mediobanca (di cui è stato consigliere di amministrazione) ha espresso posizioni differenti rispetto al vertice di via XX Settembre. Al punto che i consiglieri della fondazione che in qualche modo a lui si riferiscono hanno disseminato di dubbi e ostacoli il cammino di Giovanni Quaglia e Massimo Lapucci verso il patto con Caltagirone e Del Vecchio.

“Voglio comunque, aldilà di requisiti formali, mantenere piena indipendenza di giudizio e così esprimere rammarico per le tensioni nel corpo sociale degli ultimi tempi che Generali certo non si merita ed augurarmi che possa essere eletto un Consiglio composto da persone di professionalità e coscienza etica tali da favorire il recupero di un clima di serenità e di collaborazione nell'interesse sociale”. In questo senso, ha concluso “porterò avanti il mio impegno con il Consiglio svolgendo le mie funzioni fino alla scadenza del mandato con lo spirito di servizio e di disponibilità che una scadenza, in una tanto lunga militanza, non può certo far venir meno”.

Intanto, ieri, Delfin e Fondazione Crt hanno confermato il patto in Generali, lo stesso patto dal quale si era sfilato Caltagirone lo scorso 31 gennaio alimentando voci di dissidi tra i protagonisti della scalata”. La fine del patto o un’operazione nata con l’ottica di marciare divisi per colpire uniti, aggirando Ivass e Consob?

A inizio mese, infatti, il management della compagnia ha avviato la propria controffensiva con la richiesta a Ivass e Consob di verificare se la partecipazione complessivamente acquisita dal gruppo Caltagirone, da Fondazione Crt e dalla Delfin (complessivamente pari al 16,309% del capitale sociale stando alle ultime comunicazioni ufficiali) sia “soggetta ad autorizzazione ai sensi della normativa in tema di assicurazioni in relazione alla acquisizione di concerto di partecipazioni qualificate, comunque superiori al 10%”.  Secondo la normativa Ivass, infatti, le partecipazioni superiori al 10% devono essere autorizzate dall’Istituto di vigilanza. Generali, inoltre, ha anche deliberato di investire Consob “del quesito se tale acquisizione sia soggetta agli obblighi di comunicazione in ordine, fra l'altro, ai programmi futuri ai sensi della normativa vigente per coloro che, anche di concerto, superino una percentuale del 10% del capitale sociale e se vi siano state asimmetrie informative rilevanti per il mercato”. In questo caso gli obblighi scattano se le acquisizioni sono state fatte “in concerto”.

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