SACRO & PROFANO

Papa Francesco affida a un albese la riforma della Curia romana

A monsignor Mellino il delicato compito che, probabilmente, gli frutterà la porpora cardinalizia. Sull'esempio del pontefice molti vescovi piemontesi affidano a Maria le speranze di pace. Il novarese Brambilla ancora scioccato dalla nomina di Repole a Torino

Nell’incessante sopraggiungere di notizie sul drammatico conflitto che ancora una volta insanguina l’Europa dopo che la Russia di Putin ha aggredito e invaso l’Ucraina facendo emergere pesanti divisioni all’interno della cristianità, è passata quasi sotto silenzio una decisione assunta da papa Francesco e resa pubblica dalla sala stampa vaticana nei giorni scorsi. È stato comunicato che venerdì 25 marzo nella basilica di San Pietro il pontefice consacrerà la Russia e l’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria. La notizia ha colto di sorpresa un po' tutti, sia il mondo tradizionalista che – quasi incredulo - ha immediatamente esultato, sia quello progressista che sta cercando in tutti i modi di occultarla e di circoscrivere la portata di un atto che da sempre vede collegate le mariofanie di Fatima alla fine dei conflitti mondiali scatenati dalle ideologie anticristiane. In tale esercizio si è particolarmente distinto il teologo Andrea Grillo, acerrimo nemico della Messa antica, ispiratore della sua soppressione e al quale gli uffici liturgici delle diocesi italiane fanno riferimento costante. Secondo il liturgista di S. Anselmo, con la consacrazione alla Madonna della Russia «si rischia di rimanere invischiati nelle categorie nate nei primi del Novecento, frutto di un pietismo obsoleto» per cui sono assolutamente da respingere «coroncine, consacrazioni, apparizioni di madonne sole, senza figlio, con messaggi pseudo apocalittici», espressioni e «forme di un tradizionalismo distorto, troppo unilaterale e troppo triste». Così la pace non si può invocare utilizzando uno strumento e un linguaggio «troppo condizionato storicamente, linguisticamente e simbolicamente».

Ancora una volta Francesco ha quindi spiazzato tutti e adesso si sprecano le analisi e le dietrologie sul perché di tale inusuale iniziativa che si pone sulla scia dei suoi predecessori a cominciare da Pio XII. Per lo storico Daniele Menozzi il papa avrebbe fatto un passo indietro rispetto al suo magistero che «stava nella presentazione del metodo della non violenza attiva come risposta evangelica al male della violenza bellica superando la tradizionale dottrina della guerra giusta». A pochi è balenato nella mente la risposta più semplice e cioè che di fronte all’immane disastro provocato dalla guerra e all’impotenza della diplomazia – anche di quella vaticana – forse la Chiesa, oltre alla deplorazione e alla condanna della guerra, all’attivazione dell’assistenza umanitaria e agli appelli alle parti belligeranti deve innanzitutto rivolgere suppliche e preghiere a Dio e a sua Madre Maria Regina pacis.

Ad oggi risulta che l’analoga iniziativa presa dal papa – sicuramente assai poco ecclesialmente corretta e vista con disappunto dagli ambienti progressisti egemoni nelle diocesi – sia stata assunta dall’amministratore apostolico della diocesi di Torino e di Susa monsignor Cesare Nosiglia, dal vescovo di Alba monsignor Marco Brunetti e dal vescovo di Ivrea Edoardo Cerrato ma sicuramente li seguiranno anche altri. Vedremo.

Sembra comunque che i vescovi piemontesi – riuniti la settimana scorsa a Villa Lascaris – non abbiano trattato l’argomento forse impegnati more solito, come buoni curatori fallimentari, a discettare di questioni economiche o amministrative circa la chiusura di qualche struttura religiosa. Alla riunione non era presente il vescovo di Novara Giulio Franco Brambilla, ancora provato per la nomina ad arcivescovo di Torino del torinese Roberto Repole che comunque, in quanto teologo, alzerà sicuramente il tono dei dibattiti all’interno della conferenza episcopale subalpina. Qualcuno ha notato che da anni la diocesi di Novara, seconda soltanto a Torino per importanza e vastità, non ha più dato vescovi al Piemonte. Sono lontani i tempi quando le diocesi dell’allora regione conciliare erano rette da una schiera di novaresi, garanzia sicura di solida formazione teologica e fedeltà a Roma. Bastino i nomi di Maurilio Fossati a Torino, Sebastiano Briacca a Mondovì, Carlo Stoppa ad Alba, Gaudenzio Binaschi a Pinerolo, Enrico Masseroni a Mondovì e poi Vercelli, Germano Zaccheo a Casale Monferrato, per non parlare dell’aronese Ugo Poletti già ausiliare di Novara e poi vicario di Roma, molto stimato da Paolo VI.

Se il tema della consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria sembra non riscuotere molto successo, è da segnalare invece il cammino sinodale avviato dal Tavolo diocesano “Fede e Omosessualità” che comprende persone attive in associazioni Lgbt laiche come come Arcigay, Maurice, Informagay  o di credenti come Davide e Gionata, L’albero di Salvarano, La Rondine, La Tenda di Davide, Il pozzo di Sicar. Un documento di sintesi delle loro richieste è stato formulato durante una giornata di riflessione organizzata a fine febbraio dall’infaticabile don Gian Luca Carrega, biblista e incaricato diocesano per la Pastorale delle persone omosessuali. Alcuni partecipanti hanno così commentato l’iniziativa: «Quando si è iniziato a parlare di Sinodo, pensavamo di essere noi a chiedere di essere ascoltati e invece siamo stati cercati: un segno bello da parte della nostra diocesi di un percorso che rispecchia il desiderio di Papa Francesco di una Chiesa in uscita che ascolta le periferie». Chissà se tutte le «sensibilità» presenti nel panorama cattolico diocesano avranno la stessa sorte?

Intanto ieri è stato reso noto, dopo quasi nove anni dall’avvio dei lavori, il testo della Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium che riforma la Curia Romana, uno dei cardini del pontificato di Francesco.  Lunedì prossimo è stata indetta, presso la sala stampa della Santa Sede, la conferenza, aperta ai giornalisti di tutto il mondo, dove ne verranno illustrati i contenuti e, fra gli altri, vi parteciperà un prelato piemontese poco conosciuto ma che in questi anni di elaborazione dell’importantissimo testo ha svolto, con discrezione e alacrità tutta subalpina, in quasi quotidiani incontri con il papa, un ruolo chiave. Si tratta dell’albese monsignor Marco Mellino, nato a Canale nel 1966, ordinato nel 1991, canonista, dal 2006 al 2018 in servizio presso la Segreteria di Stato da dove il nuovo vescovo di Alba, monsignor Marco Brunetti, lo richiamava per nominarlo suo vicario generale. Il 15 dicembre dello stesso anno 2018, il papa, a sorpresa, lo nominava vescovo e lo faceva rientrare a Roma investendolo della delicata funzione di segretario aggiunto e poi di segretario (al posto del cardinale Marcello Semeraro) del Consiglio dei cardinali istituito per la riforma della Curia Romana. Si disse che a tale importante incarico, aspirasse un altro prelato piemontese all’epoca in servizio in Vaticano. Adesso si vedrà se al medesimo monsignor Mellino il papa affiderà la complessa – né indolore – attuazione di una riforma che, per certi aspetti, rivoluzionerà la macchina curiale e di cui parleremo. Nel qual caso è possibile che arrivi al vescovo albese la più che meritata porpora cardinalizia.

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