INTERVISTA

Oggi chiude l'Unità di crisi,
"ma la sanità resta malata"

La Regione smobilita la struttura di emergenza, inizia la fase della convivenza con il Covid. Valle (Pd): "La pandemia ha messo a nudo i deficit di questa amministrazione". Il nodo personale e liste d'attesa. In un pamphlet tutti gli errori della prima ondata

Con la chiusura dell’Unità di crisi, il Piemonte lascia alle spalle la lunga stagione dell’emergenza sanitaria. Il Covid non se n’è andato, certo, ora però inizia ufficialmente la fase della convivenza, quella che i virologi chiamano l’endemizzazione del virus. Era il 22 febbraio 2020 quando la Regione ha confermato il primo caso positivo al coronavirus: a oltre due anni da quel giorno il governatore Alberto Cirio chiuderà oggi quel capitolo con una conferenza stampa in cui annuncerà l’inizio di una nuova fase che al momento presenta tante incognite e poche certezze. C’è stato chi ha paragonato questo periodo a una guerra (mentre un conflitto vero si preparava al confine orientale dell’Europa) e dopo ogni guerra tocca ricostruire, ma mancano soldi e personale.

Il vicepresidente del Consiglio regionale Daniele Valle ha guidato la commissione d’indagine sulla prima ondata che ha colpito il Piemonte nel 2020, facendo emergere una serie di criticità sulla sua gestione, Un racconto di disorganizzazioni, impreparazione, superficialità, incongruenze organizzative che. dopo la relazione presentata in Aula, saranno al centro di un pamphlet in via di pubblicazione. 

Ora che il peggio sembra alle spalle ci sono gli strumenti per far ripartire un sistema sanitario allo stremo?
“Questo è ciò che più mi preoccupa oggi. Negli ultimi 24 mesi non abbiamo sostituito tutti i pensionamenti e le dimissioni (appoggiandoci sui precari finanziati dai fondi straordinari covid) e così abbiamo perso almeno 1.248 tra medici, infermieri, operatori sanitari e amministrativi. Dico almeno perché non tutte le aziende sanitarie ritengono di dover rispondere agli accessi agli atti. Nelle ultime ore l’assessore Icardi ha annunciato che stabilizzeremo 1.137 sanitari. Bene, ma ne mancano più di cento solo per raggiungere i numeri pre pandemia, le preoccupazioni dei sindacati vanno ascoltate”.

Troppo poco?
“Direi proprio di sì, soprattutto se ora vogliamo finalmente sfoltire queste liste d’attesa e iniziare a mettere in piedi una rete territoriale che fatalmente avrà bisogno di personale, riempiendo di servizi e contenuti le strutture finanziate dal Pnrr”. 

Parliamo un attimo di liste d’attesa: il presidente Cirio ha presentato un piano per ridurle. Non la convince?
“Ogni volta che in questi due anni il Covid ci dava un attimo di respiro, la Regione annunciava un piano per le liste d’attesa, poi la recrudescenza dell’epidemia e la scarsa capacità di programmazione e organizzazione ha fatto passare la questione in cavalleria. Le liste d'attesa non si riducono strutturalmente senza un disegno organico: è tempo di mettere mano al piano sociosanitario della nostra regione, aprendo un momento di confronto vero con gli operatori del settore, i territori e le forze politiche”.

Ora però sembra davvero che ci siano le condizioni per avviare una nuova fase, perché tanto scetticismo?
“Perché ognuno di noi sta provando sulla sua pelle cosa vuol dire prenotare una visita specialistica o un intervento. Il problema è enorme e a mio avviso anche sottostimato perché c’è chi ormai rinuncia alle cure, chi non riesce neanche più a prenotarsi perché le agende non sono aperte oltre una certa data. E poi c’è chi può permettersi di andare dal privato”.

Intanto si conclude il lungo periodo di emergenza, poi per fare tante cose servirà anche un aiuto del Governo. La Regione ha chiesto più soldi a Roma ma finora non è stata accontentata.
“Se servono più risorse, siamo pronti a fare la nostra parte per sostenere il Piemonte, il governatore ci coinvolga. E intanto faccia ordine a casa: abbiamo detto che chiude l’Unità di crisi e che le sue funzioni passano al Dirmei, struttura che sarà collocata all’interno dell’Azienda zero. Il problema, però, è che l’Azienda zero, dopo essere stata istituita a ottobre, ancora non esiste; abbiamo perso sei mesi per definire come dovrà essere scelto il direttore. Problemi di cadreghino. Se ci sarà una recrudescenza dell’epidemia, rischiamo di essere per l’ennesima volta impreparati: è fondamentale avere una catena di comando definita, non possiamo permetterci di nuovo di rincorrere task force, esperti e commissioni di saggi. Guardi io ho due figli piccoli e a loro dico sempre che non si può dare la colpa all’insegnante quando non si fanno i compiti a casa”.

Il Piemonte in questi due anni è rimasto indietro sul programma?
“Su un sacco di cose. La gestione della pandemia è stata deficitaria: dai pasticci sui dispositivi di protezione individuale nella prima ondata ai tamponi molecolari. La nostra regione non è riuscita ancora a raggiungere gli standard delle altre di pari dimensioni; nel primo anno e mezzo noi abbiamo fatto 2,9 milioni molecolari a fronte dei 4,5 milioni di Emilia, Lazio e Campania”.

Cirio e l’assessore alla Sanità Luigi Icardi hanno sempre detto che avevamo una condizione di partenza peggiore rispetto agli altri.
“Certo, l’alibi è sempre stato che noi avevamo solo due laboratori attivi. Ma dopo due anni se non sei riuscito a recuperare il gap non puoi continuare a dare la colpa a chi c’era prima. Spero, per esempio, che non siano colpa di altri anche i due monumenti allo spreco allestiti alle Ogr e al Valentino: in particolare il super ospedale da campo nel parco di Torino, 538 posti, è arrivato a un picco di 21 pazienti per due giorni”.

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