CAPITALISMO MUNICIPALE

Iren, (con) Dal Fabbro Torino non batte chiodo

Tutte le incognite di una nomina decisa a Roma e che potrebbe presto aprire tensioni nella governance. Il presidente in pectore e la sua breve esperienza in Snam. Quale sarà il suo ruolo? La crociata del sindaco Lo Russo contro il provincialismo

La chiave più che Dal Fabbro è al Nazareno. Sulla presidenza Iren è avvenuto ciò che doveva essere scongiurato, ovvero che il dossier planasse sui tavoli romani, sottraendo a Torino l’onere della scelta. Del resto, in uno dei primi incontri post elezioni, tra Stefano Lo Russo e Marco Meloni, l’influente braccio destro del segretario Enrico Letta, presente il presidente della Compagnia di San Paolo Francesco Profumo, il messaggio recapitato al neo sindaco era stato piuttosto chiaro: Iren, per dimensioni e caratura di società quotata in Borsa, non è affare municipalistico ma va trattato a livello nazionale. E così è stato. La designazione di Luca Dal Fabbro è, con buona pace del primo cittadino, solo nominalmente in capo a Torino: come già avvenuto per il futuro board di Intesa, l’inquilino di Palazzo civico si è limitato a giocare di rimessa. Se questo è il “metodo Lo Russo” decantato dai gazzettieri del sindaco viene da dire con Polonio che c’è del metodo in questa follia. Insomma, su Dal Fabbro, nomen omen, non ha battuto chiodo.

È comprensibile che Lo Russo tenti di sviare, puntando il dito contro il provincialismo che animerebbe coloro – e sono tanti tra gli stakeholder della città – che esprimono forti critiche sul metodo e sulla decisione. “Io non ho proposto il presidente agli altri soci sulla base se è nato a Santa Rita, viveva a Parella o andava all’oratorio alle Vallette, ma ho cercato una persona che avesse le caratteristiche di professionalità per guidare una delle più importanti aziende energetiche italiane, quotata in borsa e con 8mila dipendenti”. Ineccepibile, il sindaco, quando segnala l’eccessivo provincialismo. Ma è sicuro che per contrastare il campanilismo pernicioso e autoreferenziale sia sufficiente e utile invocare “aperture mentali” che sfociano in una sorta di esterofilia, quel misto di soggezione e sudditanza che fa vedere più verde l’erba del vicino? Non avrà bisogno, Lo Russo, che gli venga ricordato come tutte le volte che Torino ha “combattuto” il demone del suo sciovinismo, alla fine, ha perso ruoli importanti, banche, sedi legali e centri operativi di aziende. Dimostrare di avere orizzonti più ampi non implica dover ridurre i propri, senza mai mettere il naso fuori dalla cinta daziaria, aprendone le porte a cavalieri bianchi ammantati dall’aura del non essere, appunto, espressione della città.

Il sindaco sa che bene che la questione non è solo salvaguardare quella mole di contributi che Iren dirotta sui comuni soci e che a Torino sono stati indispensabili in anni di vacche magre ad assicurare quel poco di iniziative culturali e di promozione. In ballo c’è qualcosa di più di Luci d’Artista. In gioco c’è la prospettiva di un gruppo che già nei prossimi mesi dovrà impostare strategie di espansione, valutare nuove acquisizioni e, forse, possibili, integrazioni. In tutto questo, quale sarà il ruolo di Torino? Le avvisaglie, con la ben nota battaglia sulle deleghe nella governance – a partire da quella di M&A – un boccone che fa gola all’attuale Ceo Gianni Vittorio Armani, spalleggiato da Genova con il suo sindaco Marco Bucci, non lasciano troppi dubbi.

Manager dal curriculum lungo e di alto profilo, Dal Fabbro è, inutile girarci attorno, non è solo uno smacco per la città e la sua golden share sfilata dal mazzo del sindaco cui, naturalmente, è lasciata la rivendicazione della partita vinta, anche se neppure giocata. È la prospettiva di un rapporto tutto da scoprire, con probabili non piacevoli sorprese, con l’amministratore delegato. Quanta forza avrà Torino in questo scenario? Il profilo di Dal Fabbro è sovrapponibile a quello di Armani. Laureato in Ingegneria Chimica a pieni voti presso l’Università di Roma, con un master in Politica e Relazioni Internazionali all’Université Libre de Bruxelles e un corso di management al Mit, attualmente è professore aggiunto all’Università Luiss di Roma. È stato membro del cda di Terna Spa e del board della Tamini Spa. Ha iniziato la sua carriera in Procter & Gamble e ha maturato una significativa esperienza nel ramo energia come ceo in E.On Italia, presidente della holding di Electro Power System, ceo in Enel Energia Spa. Dall’aprile 2019 al giugno 2020 è stato presidente di Snam.

Proprio da quella che è una delle maggiori società di infrastrutture energetiche al mondo, il manager se ne è andato l’estate due anni fa, ufficialmente per dedicarsi alla nascita di un fondo di private equity. Arrivato in Snam sponsorizzato da ambienti grillini, in particolare l’uomo delle nomine pentastellate Stefano Buffagni (che, infatti piazzerà al suo posto Nicola Bedin) ora – come scrive in un sms un alto papavero dei Cinquestelle al governo – “se lo sono presi in carico quelli del Pd”. Ma al netto della questione politica, sarebbe non del tutto secondario sapere se le ragioni che avevano “spinto” Dal Fabbro a lasciare l’incarico siano o meno ancora presenti. Detta fuori dai denti: per quanto l’emolumento di presidente di Iren (175mila euro mal contati) sia tutt’altro che risibile sono spiccioli per un top manager e un imprenditore in proprio. Il famoso “fondo circular” Xenon Fidec lanciato nel maggio del 2020 è… andato a fondo? O in Iren gli verrà consentito di mantenere e ricevere altri incarichi? Tale eventualità, oltre a procurare naturali distrazioni dal ruolo nella multiutility, potrebbe aprire a incompatibilità o conflitti di interesse in un settore in cui tutto o comunque, molto si intreccia: fondi e mercato energetico, pubblico e privato. Forse proprio la breve esperienza in Snam potrebbe essere illuminante. Anche per Lo Russo, che potrebbe trovarsi presto ad assistere a una guerra tra presidente e amministratore delegato. Con il primo, frutto di una decisione del Nazareno volta ad arginare lo strapotere di Genova, amministrata dal centrodestra e con l’attuale sindaco con ottime chance di essere riconfermato alle elezioni di giugno.

Come spesso accade, quando uno è in difficoltà mischia realtà, ambizioni e mezze bugie, tutto per rendere verosimili posizioni piuttosto traballanti. È successo anche a Lo Russo che per suffragare la bontà della sua “scelta”, ha detto una evidente sciocchezza:  “Lo stesso rimbalzo positivo del titolo in borsa di Iren a valle della designazione congiunta col sindaco di Genova Bucci e Reggio Emilia Vecchi  sta dimostrare la bontà della scelta del vertice della società”: peccato che non ci sia stato alcun rimbalzo, anzi Iren non solo ha seguito l’andamento delle altre multiutility, ma è cresciuta meno dei suoi principali diretti concorrenti, A2a e Hera.

Quel che accadrà nei prossimi mesi, già forse nelle prossime settimane, al vertice del colosso energetico non solo sarà interessante per verificare se le previsioni di un rapporto non facile tra presidente e ceo, con quest’ultimo che avrebbe vissuto la nomina di Dal Fabbro quasi come uno sgarbo, troveranno conferma. Ma anche per vedere quanto Torino peserà con la sua scelta, fatta altrove.