FINANZA & POTERI

Profumo prepara la successione: Fornero in Compagnia (di Garibaldi)

Con il sistema delle terne il presidente punta a ridurre il peso della politica nelle future designazioni dei consiglieri. E soprattutto avere mani libere per realizzare i suoi piani: mettere al suo posto l'ex collega ministra del governo Monti e cambiare il segretario generale

Certe cose si fanno e non si dicono, almeno fintantoché non si sono fatte. È un lavoro sottotraccia e silenzioso, come si confà all’ambiente, quello che sta impegnando da qualche mese la Compagnia di San Paolo alle prese con la modifica del proprio statuto, compito affidato a una commissione istituita ad hoc, e con gli sguardi rivolti al prossimo rinnovo degli organi. Manovre che, per quanto avvolte nella nebbia, stanno già provocando avvertibili scosse all’esterno di corso Vittorio Emanuele.

L’iter è stato formalmente avviato per allineare le procedure di nomina della governance con quelle delle altre fondazioni, attuando in misura più stringente gli indirizzi a suo tempo fissati nel protocollo Acri-Mef del 2015, in particolare nell’esigenza di mitigare il peso della politica nelle scelte dei vertici. Da qui la proposta di modificare i criteri di designazione da parte degli enti: non più un nome secco (o due come nel caso del Comune e della Camera di Commercio di Torino) ma una terna da cui pescare a discrezione del Consiglio generale i singoli rappresentanti. A ciò si aggiungerebbe una diversa distribuzione dei pesi, limando ad esempio la consistenza degli enti camerali. Una piccola rivoluzione – sebbene già in uso nella “cugina” Crt (e che ha “fregato” Alberto Cirio) – che sta terremotando i palazzi del potere subalpino (e non solo), dove il sistema delle terne viene visto, non senza ragione, come una limitazione del loro potere: “Giusto affrancarsi dall’ingerenza della politica – affermano esponenti di ogni colore – ma non si consegni la Compagnia a lobby che non rispondono a nessuno se non a certi precisi interessi”. Il sottile filo che distingue l’autonomia dall’autocrazia. Una cosa è certa, il primo a vedersi tagliare le unghie sarà Stefano lo Russo, il sindaco di Torino cui spetta(va) per “consuetudine” l’indicazione del presidente.

Insomma, uno schiaffo è in arrivo, l’ennesimo, per il primo cittadino torinese che, dopo non aver toccato palla sulle designazioni per il board di Intesa Sanpaolo ed essersi limitato a ratificare una decisione romana sulla guida di Iren, adesso quasi certamente perderà anche la golden share per la presidenza della Compagnia. Lo Russo dovrà mettersi il cuore in pace: non riuscirà mai a piazzare il suo fidato Andrea Ganelli alla guardia della cassaforte di corso Vittorio (e pure per la Crt nessuno è pronto a scommettere un cent). Chiedere a Francesco Profumo.

È infatti l’ex rettore del Poli (e ministro e presidente di Iren e del Cnr) il grande regista della partita in corso. Proprio lui, il numero uno della fondazione (ma anche presidente di quell’Acri cui si deve l’input alla modifica statutaria), starebbe lavorando in vista della fine del proprio mandato per consegnare il testimone a un nome prestigioso, quanto divisivo soprattutto sul fronte politico. A ricevere le consegne da Profumo, nei piani di quest’ultimo, dovrebbe essere Elsa Fornero. Preparando la strada per l’ex collega del governo loden di Mario Monti, Profumo avrebbe già incassato un importante placet da parte del ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina per la giubilazione dell’attuale segretario generale della Compagnia Alberto Anfossi, nominato dopo un non facile percorso in cui rimase sul ciglio l’alto dirigente del Mise Stefano Firpo, prima scelta di Profumo ma osteggiato dall’allora vicepresidente Licia Mattioli e dalla consigliera Anna Maria Poggi.

In quei giorni di forti tensioni, partecipò alla selezione anche ll’economista Pietro Garibaldi, allievo della Fornero, che oggi torna in pista come successore in pectore di Anfossi, almeno nei disegni di Profumo e di chi in Compagnia e fuori ne condivide i propositi. Che, ovviamente, non si limitano alle auguste stanze di corso Vittorio ma allungano l’orizzonte alla banca, dove sempre nel 2024, difficilmente l’ottuagenario Gian Maria Gros-Pietro potrà ricandidarsi per un quinto mandato alla presidenza. A quel punto i tempi saranno maturi per realizzare ciò che Messina ha bloccato qualche mese fa: il cambio della guardia con Domenico Siniscalco, classe 1954, ex ministro dell’Economia e direttore generale del Tesoro, già professore all’Università di Torino, oggi vicepresidente della banca d’affari Morgan Stanley ma soprattutto past president del Collegio Carlo Alberto, ente strumentale della stessa Compagnia, che annovera studiosi ed esponenti di peso del mondo finanziario ed economico (da Marta Cartabia a Carlo Messina, da John Elkann a Francesca Lavazza). Tutti uniti a contrastare le ingerenze della politica, s’intende.

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