SANITÀ ALLO SBANDO

Il Covid cresce, spariscono le Usca. Rischio assalto ai Pronto Soccorso

Ieri ultimo giorno di lavoro per le unità speciali. Molte Regioni le prorogano fino a fine anno. In Piemonte si scarica la patata bollente sulle Asl (che già hanno lesinato sulle assunzioni). Allarme tra i medici di famiglia. Tanti malati si rivolgeranno agli ospedali

I contagi aumentano, ma la prima linea contro il Covid smobilita per decreto. Ieri è stato l’ultimo giorno in cui si è potuto far conto sulle Usca, le unità speciali di continuità assistenziale create nel pieno dell’emergenza per supportare la medicina del territorio, o meglio ancora per sopperire alle sue gravi carenze che hanno avuto tra le molte conseguenze anche quella di ingolfare i Pronto Soccorso e i reparti ospedalieri.

Adesso, con il termine del servizio sancito dalla scadenza ieri della proroga, lo scenario che si prospetta è gravido di problemi. Lo testimonia il fatto che non poche Regioni, a partire dall’Emilia-Romagna, passando per l’Umbria e la Sardegna, solo per citarne alcune, hanno già annunciato di aver deciso il prolungamento del servizio almeno fino alla fine dell’anno. E in Piemonte? “Premesso che non risulta possibile, normativamente, una decisione del genere da parte della Regione, anche se fosse possibile – spiega l’assessore alla Sanità Luigi Icardi – non avremmo comunque le risorse finanziarie necessarie”.

Ancora una volta questione di soldi. È pur vero che con la fine dello stato di emergenza il governo non ha più ritenuto di finanziare quelle unità, solitamente composte da un medico e un infermiere, che per i due anni di pandemia hanno monitorato e soprattutto visitato a domicilio i malati di Covid evitando che il numero dei ricoveri rimanesse elevato come all’inizio e arrivasse oltre la soglia critica anche nelle ondate più cruente, ma è altrettanto vero che l’attuale crescita in maniera notevole dei contagi non sottostà alla burocratica dichiarazione di fine emergenza.

La preoccupazione e l’allarme per quello che potrà succedere a partire dai prossimi giorni non arriva soltanto dai medici di famiglia, rimasti unico riferimento per chi si ammala, ma anche dal fronte ospedaliero dove si teme un nuovo assalto ai Pronto Soccorso. “Una modalità di intervento che può essere ancora utile in questa fase in cui il virus rialza la testa e che bene si innesta sull’idea di sanità territoriale che abbiamo in mente per il futuro. Un modello che punta a fare del domicilio il primo luogo di cura e assistenza ai malati”, osserva Raffaele Donini che oltre ad avere la delega alla Sanità nella giunta regionale emilianoromagnola di Stefano Bonaccini è anche colui che ha ricevuto il testimone per la guida della commissione Salute in Conferenza delle Regioni da Icardi. In verità, pure l'Emilia-Romagna deve ricorrere allo stratagemma di "delegare" alle Asl ciò che non può fare direttamente, ma il messaggio che lancia Donini è chiaro: senza le Usca non si può affrontare l'attuale situazione, senza contare che nessuno può escludere un quadro peggiore in autunno. Altrettanto chiara l'indicazione alle aziende che non prevede discrezionalità. In tutta fretta, ieri, anche il consiglio regionale della Sardegna ha stanziato venti milioni di euro per la proroga fino al 31 dicembre delle Usca sul territorio dell’isola.

Da corso Regina, sede dell’assessorato piemontese, la soluzione (si fa per dire) trovata suscita non poche perplessità e induce a prevedere risultati ben diversi da quelli auspicati da chi sta sul campo e vede crescere in modo, sia pure con effetti clinici ben lontani da quelli che hanno segnato le fasi più tragica della pandemia. Con una circolare, inviata dal direttore regionale Mario Minola, di fatto si scarica sulle Asl la decisione se mantenere e in che misura il servizio Usca nel rispettivo territorio, ma soprattutto si dice ai direttori generali delle aziende che i fondi necessari li devono mettere loro. Nella comunicazione si ricorda come “di particolare importanza, nell’attuale quadro epidemiologico legato all’aumento giornaliero significativo di nuovi casi di Covid 19, risulta l’esigenza di mantenere un supporto adeguato alla presa in carico, gestione e follow up a livello territoriale (es. pazienti domiciliari e ospiti presso le strutture residenziali) e equilibrare i livelli assistenziali a livello territoriale e tra territorio ed ospedale”.

Detto ciò, da corso Regina l’indicazione ai vertici delle Asl è quella di poter “ricorrere alle forme contrattuali previste dalle normative vigenti”, questo nel caso in cui “in relazione alla situazione epidemiologica e ad integrazione delle modalità alternative già individuate per il proseguimento delle attività di cui sopra, ove il personale presente non sia in grado di assicurare le suddette prestazioni, per l’annualità 2022”. 

Ora, in una situazione in cui quasi tutte le Asl non hanno assunto gli infermieri che avrebbero dovuto assumere, risparmiando soldi per ridurre i deficit di bilancio (come sospetta il sindacato Nursind che sul punto ha chiesto un rendiconto, non ancora arrivato), quanti direttori generali metteranno mano al portafogli per mantenere un servizio importante come quello delle Usca? Forse non sbaglia chi, di fronte al continuo aumento dei contagi, paventa nelle prossime settimane un aumento degli accessi ai Pronto Soccorso con tutto quel che ne consegue. 

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