VERSO IL VOTO

Meloni vola, la Lega perde quota

Mayday, mayday: il Capitano rischia di precipitare alle prossime elezioni, mentre Fratelli d'Italia continua a salire. Per Salvini i sondaggi indicano un trend in calo e nel partito c'è chi lo aspetta al varco. In Piemonte si fa più arduo il duello sui collegi

Torre di controllo, la Lega precipita e non solo nei sondaggi. Il Capitano fatica a tenere la rotta e nell'equipaggio c'è chi inizia a sudare freddo. Di fronte alle rilevazioni più recenti (ma anche all’esito delle recenti amministrative nelle grandi città) il ripetere, come va facendo Matteo Salvini, che “chi prende più voti sceglie il premier” appare ormai sempre più anacronistico nel lasciare aperta l’eventualità che non sia Fratelli d’Italia a piazzarsi nettamente davanti agli alleati di centrodestra.

Manca un mese al voto e le rilevazioni sulle intenzioni di voto dell’istituto Tecnè per  Mediaset assegnano al partito di Giorgia Meloni il 24,3% e alla Lega il 12,9, di poco staccata da Forza Italia accreditata all’11,4%. Numeri differenti, ma non di molto, quelli elaborati da Noto Sondaggi che assegna a FdI il 25%, alla Lega il 12,5% riducendo il peso dei berluscones al 7,5%. In entrambi i casi la premessa di Salvini, pocanzi citata, appare addirittura grottesca di fronte al raddoppio dei voti da parte della Meloni. 

Ma ci sarebbero numeri ancora più pesanti a preoccupare i vertici di via Bellerio e i loro proconsoli, specie al Nord. Sondaggi e rilevazioni commissionati da grandi gruppi finanziari e stakeholder il cui riverbero starebbe arrivando negli ambienti del centrodestra parrebbero ridurre (il condizionale è d’obbligo dovendosi riferire a rumors, pur attendibili) ulteriormente il peso elettorale della Lega, indicando un trend al ribasso contro il quale il partito di Salvini dovrà agire nelle quattro settimane che dividono dalle urne. Il rischio, paventato da alcune analisi, di arrivare a sfiorare la soglia ultracritica del 10%, è roba da allarme rosso per il partito che ha rinunciato al verde, e insieme a quello a una serie di temi e messaggi di cui potrebbe pagare il prezzo il prossimo 25 settembre. Specie in quel Nord dove una parte dell’elettorato tradizionale e consolidato – dai settori produttivi a quello delle partite iva – non sempre ha apprezzato la decisione di porre fine anticipatamente al Governo di Mario Draghi.

Una parte di quel bacino elettorale leghista potrebbe spostare, come indicano i sondaggi, il suo voto su chi oggi veleggia col vento in poppa, ovvero la Meloni, cui viene riconosciuta anche la coerenza di essere stata all’opposizione dell’esecutivo di larghissime intese, votando peraltro alcune misure essenziali.

Sembra un'era geologica eppure sono passati solo tre anni da quel 34% conquistato dalla Lega alle Europee, una forza elettorale che oggi potrebbe essere ridotta a un terzo. Ben inferiore anche al 18,7% ottenuto nel 2018 quando la parabola aveva appena preso a salire, prima di scendere in picchiata tra il 2020 e il 2022, da quando cioè Salvini, anche a sentire i suoi uomini più vicini, ha perso il tocco. Insomma, non ne ha imbroccata più una. Un travaso di voti che, stando ai trend più attendibili, potrebbe far schizzare Meloni fino a ridosso del 30% con tutto il Sud Italia trasformato in una enclave.

Tutto ciò sta avvenendo in un partito in cui Salvini ha usato la ramazza di vecchia memoria per spazzar via molti dei cosiddetti giorgettiani, senza che Giancarlo Giorgetti (nulla di più lontano da un capocorrente) abbia mosso un dito, ma con il risultato di far sparire dai radar anche in regioni come il Piemonte dove l’eminenza grigia non ha mai contato folte truppe, chi guardava al bocconiano di Cazzago Brabbia come a un punto di riferimento per futuri cambiamenti al vertice di via Bellerio. Già nelle recenti elezioni comunali, ad Alessandria così come a Novara (anche se qui la lista del sindaco Alessandro Canelli aveva drenato un bel po’ di voti al partito), il sorpasso da parte di FdI aveva fatto suonare più di un campanello di allarme, poco attutito dal mantra che vuole innanzitutto il successo della coalizione.

Lo spettro di una discesa verso il 10% a livello nazionale certamente è attenuato nella sua gravità nel Nord del Paese, ma questo non basta per far dormire sonni tranquilli a chi già ha gli incubi di una reale doppiatura da parte dell’alleato sulla sponda destra. Oltre al risultato delle liste del proporzionale dove ciascun partito si misura, a preoccupare potrebbero essere anche alcuni collegi uninominali non del tutto sicuri, quindi contendibili per il centrosinistra, e affidati a candidati della Lega, come nel caso di quello di Collegno, dove Elena Maccanti ha accettato la sfida con il deputato dem Davide Gariglio non senza assicurarsi prima il paracadute del proporzionale. 

Una ragione in più, per i vertici regionali della Lega, incominciando dal segretario Riccardo Molinari, per guardare giorno dopo giorno da qui a ridosso del 25 settembre il grafico del sondaggi (quelli pubblici e non di meno quelli commissionati per uso interno) e correre ai ripari prima che la Lega si schianti. Mayday, mayday!

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