GRANA PADANA

Salvini ai titoli di coda

La leadership del Capitano è arrivata al capolinea. La Lega è un partito che non c'è (più) e non sa cosa è diventata. La mutazione genetica, il federalismo, il popolo delle partite iva. Controllerà comunque i gruppi i parlamentari. Congresso o comitato di reggenza

La débâcle, neppure arginata in quelle che ormai non sono più le sue storiche roccaforti, difficilmente potrà evitare nella Lega verso quello che ai tempi della Prima Repubblica si sarebbe detto un franco dibattito interno, formale ed eufemistica traduzione di cambio al vertice. Matteo Salvini in queste elezioni non si giocava soltanto l’impossibile mantenimento della leadership del centrodestra, ormai perduta da tempo. Si giocava – e i suoi pretoriani non ne facevano mistero in campagna elettorale – il futuro del partito, finito in balia delle fortune del suo capo, limitando quanto più possibile la distanza rispetto a Giorgia Meloni.

Ha perso anche questa battaglia, il Capitano. E rischia seriamente di perdere un comando, forse troppo assoluto e con strategie, alla luce del voto fallimentari, che dalla notte scorsa appare sempre meno solido. Restare sotto la soglia del 10% per il partito che nel 2018 era uscito dalle urne sfiorando il 18 e che alle Europee toccò il 34%, non potrà che portare, più rapidamente del previsto, a quel che da tempo si prefigurava come inevitabile conseguenza del sorpasso da parte dei Fratelli d’Italia nei sondaggi e nelle recenti elezioni amministrative. 

Non pare azzardato prevedere che sfocerà in qualcosa di molto concreto il sempre più rumoroso malcontento nei confronti della linea impressa dal segretario a un partito che, inseguendo la Meloni, ha subito una vera e propria mutazione generica. La Lega salviniana ha abdicato in gran parte a uno dei capisaldi del prooprio dna, quel federalismo trascurato per seguire la via centralista e sovranista. Un partito che ha perso (come ulteriormente confermato dal voto di ieri) quello zoccolo duro e diffuso del mondo delle imprese e delle professioni del Nord, riferimento geografico cancellato dal simbolo. 

Certamente c’è un dato che, in qualche modo, può giocare a favore del leader ed è il risultato fortemente negativo della Lega proprio nelle due regioni, il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia, i cui governatori Luca Zaia e Massimiliano Fedriga rappresentano i principali oppositorii e possibili successori, soprattutto il secondo, del Capitano, nonché frontman di quella parte della Lega sempre più critica rispetto alla linea salviniana.

Per contro, è proprio questa Lega più filodraghiana, di cui è espressione massima l’eminenza grigia Giancarlo Giorgetti (per lui si prefigura la presidenza della Camera), ad aver spinto Salvini a entrare e rimanere nel governo di Mario Draghi, scelta che alla luce dell’esito del voto non ha pagato e anzi è costata carissima rispetto alla sempre citata coerenza di Giorgia Meloni nel restare all’opposizione. Le stesse posizioni ondivaghe di Salvini sull’invasione russa dell’Ucraina e, soprattutto, sulle sanzioni al regime di Vladimir Putin non sono state ben accolte da una vasta porzione dell’elettorato, che ha preferito la leader di FdI. Inoltre il fatto di essere appena sopra Forza Italia non contribuisce affatto a rendere meno precaria la posizione del leader, punzecchiato da Silvio Berlusconi plaudendo la sua bravura, ma sottolineando il fatto di non aver “mai lavorato”.

Dovrà lavorare parecchio, invece, Salvini per uscire dalle macerie di questo terremoto e provare a tenere ancora (non si sa per quanto) le redini di una forza politica che governa con suoi presidenti importanti regioni del Nord e che detiene la maggioranza della coalizione in altre dove il governatore non è della Lega, come il Piemonte. Ma sono numeri che da domani i Fratelli d’Italia facilmente chiederanno di aggiornare con quelli usciti dal voto, sia pure per il Parlamento. Lo stesso, in misura minore potrebbe fare anche Forza Italia, se i dati finali dovessero metterla suppergiù alla pari con la Lega. 

Nelle prossime ore il quadro sarà più chiaro, anche guardando alle singole circoscrizioni e ai collegi, ma non serve la lente d’ingrandimento per vedere le crepe che segnano al suo interno l’ultimo partito leninista e i segni di quei cambiamenti (qualcuno li definisce resa dei conti) che si annunciano in via Bellerio, così come per quanto riguarda il Piemonte e la coalizione che lo governa, negli assetti di governo e sottogoverno regionale.

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