SACRO & PROFANO

In diocesi un governo monocolore,
al "cerchio magico" tutte le cariche

Vescovo ausiliare, consiglio episcopale, economo, cancelliere, rettore del seminario e prossimamente anche il direttore della facoltà teologica: a Torino nessuno spazio a chi è fuori dallo storytelling dominante. L'anima perduta e il coccodrillo di Napolioni

Sembra che l’arcivescovo Roberto Repole non abbia preso bene la fuga di notizie che ha rivelato la sua decisione di nominare il nuovo rettore del seminario nella persona di don Giorgio Garrone e lo ha costretto a far anticipare il comunicato ufficiale assai prima di quando doveva essere annunciato. Nel mirino è finita la parte più debole e indifesa di questa Chiesa così aperta e dialogante e cioè il seminario stesso dove è partita la caccia alla “talpa”. Qualcuno ha ipotizzato invece che la lettera di don Garrone sia stata diffusa ad arte per mettere alla prova i seminaristi e saggiarne la loro discrezione. Nulla di cui stupirsi. Negli anni Novanta circolavano voci sulle docce comunitarie per mettere alla prova la resistenza dei seminaristi alle lusinghe della concupiscentia carnis et oculorum. Leggende metropolitane?

La nomina del nuovo rettore ha comunque confermato – anche ai pochi dubbiosi – come il “cerchio magico” abbia deciso di prendersi tutto e non fare “prigionieri”: vescovo ausiliare, consiglio episcopale, economo, cancelliere, rettore del seminario. Non è stato lasciato nessuno spazio a chi la pensa diversamente e cioè a quei preti collocati fuori dello storytelling dominante, che pure esistono e non sono pochissimi, ma sembrano destinati, nei disegni dei vertici, a portare per intero della pastorale il pondus diei et aestus (Matt. 20,12). Rimane ancora il direttore della facoltà ma è certo che sarà sicuro appannaggio ed emanazione di chi da sempre vanta una presunta supremazia negli studi. Circola voce che a tale incarico sarà chiamato l’ex rettore don Ferruccio Ceragioli che diventerà anche parroco della cattedrale con il compito – per lui umanamente impossibile – di “rianimarla”.

Ciò dimostra poca saggezza e scarsa lungimiranza. Sicuramente, un vescovo venuto da fuori avrebbe agito diversamente, evitando di consegnare interamente la diocesi a quella che fino ad un anno fa costituiva una lobby organizzata all’interno del presbiterio – che anche a Roma conoscono bene – e sulle cui caratteristiche teologiche ed antropologiche ritorneremo presto. Una di queste però la possiamo anticipare ed è la scarsa propensione – non di tutti peraltro – alla pastorale. Può sembrare strano da parte di chi ne ha fatto il paradigma della nuova Chiesa ma è così, da sempre infatti alla fatica quotidiana nelle parrocchie il nucleo forte del gruppo preferisce parlare o partecipare ai convegni. Eppure, alcuni – per la verità pochi – pensavano che nella nomina dei suoi collaboratori (molto più dei bei discorsi indicativa della linea che si vuole imprimere alla diocesi), il nuovo vescovo ci avrebbe stupiti, dimostrando apertura intellettuale e magnanimità. Dobbiamo invece constatare che al rischio di navigare in mare aperto ha preferito la sicurezza dell’usato sicuro. Nel ruolo di “consigliori”, intanto, si dice che siano assurti da tempo – ça va sans dire – don Paolo Resegotti e il parroco di Orbassano don Dario Monticone, i nuovi dioscuri della pastorale modello. Durante la convocazione diocesana del prossimo venerdì si annunceranno alcune novità: basta con i direttori di curia e largo alle equipe di laici “adulti”, cambio ai vertici per il delegato al diaconato, accorpamento di importanti parrocchie torinesi et alia. Circolano già vari nomi, ma attendiamo conferme…

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Martedì 6 giugno prossimo si celebrerà come tutti gli anni la memoria del Miracolo di Torino con una Messa presieduta dal vescovo ausiliare e vicario generale monsignor Alessandro Giraudo nella splendida basilica del Corpus Domini di cui è rettore e che fu edificata per volere del Comune in ricordo del prodigio. L’ufficio per la pastorale della cultura della diocesi, dandone notizia, ci informa che «i fatti del Miracolo del SS. Sacramento rimandano alla leggenda del furto compiuto nel 1453». Già ai tempi del cardinale Michele Pellegrino si voleva abolire la festa liturgica, ma in consiglio presbiterale alcuni si opposero e la memoria del miracolo rimase, anche se sempre più marginale e quasi nascosta. Adesso siamo ridotti a celebrare una leggenda, cioè un fatto avvolto nel mito e inesistente. Arriverà il turno della Sindone?

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Alcuni gentili lettori, riferendosi all’episodio di Don Bosco raccontato nell’ultimo articolo, ci chiedono delucidazioni domandandosi perché ormai di questo capitale argomento – la salvezza delle anime – non se ne parli più. Innanzitutto, diciamo che per parlare di anima bisogna crederci e oggi nella Chiesa a credere alla sua esistenza sono molto pochi. Nei seminari e nelle facoltà teologiche, almeno nel linguaggio, dell’anima non vi è più traccia. Si insegna che nel Nuovo Testamento non si parla mai di immortalità dell’anima, ma semplicemente di resurrezione, e questo, a dire dei teologi progressisti, giustificherebbe il silenzio sull’anima che sta diventando assordante. Se n’è accorto un filosofo francese, Robert Redeker, che nel suo recente saggio – L’abolition de l’âme, ed. Cerf – indaga su questa scomparsa e sulle sue conseguenze per la società occidentale: «La sua abolizione ci ha lasciati orfani, privato dell’anima, l’uomo moderno non è diventato un uomo normale, ma un uomo conformista». Se si abolisce l’anima e si parla solo di «vita» e di «risurrezione», l’istante della morte (addormentamento) coincide nella coscienza personale con l’istante del risveglio (risurrezione finale) quindi non sarebbe necessario né il giudizio particolare, assorbito in quello universale né, ovviamente, il suffragio delle anime del Purgatorio (inesistente) né, conseguentemente, il culto dei santi ridotti ad «esemplari dormienti». Al comune fedele può sembrare incredibile ma questo è un convincimento diffuso nel clero torinese. Tanto è vero che ormai, con la scusa della carenza di clero o peggio, della poca fede dei presenti (come se qualcuno potesse arrogarsi il diritto di «misurare la fede»), è ormai invalso l’uso di non celebrare la Messa ai funerali, sostituita dalla semplice Liturgia della Parola.

Chi pensa ancora di far celebrare una Messa per i propri cari defunti dovrà fare i conti con questa drammatica situazione: non sapere se il sacerdote celebrante creda ancora nell’immortalità dell’anima, applicando ad essa il Sacrificio eucaristico, o interpreti il tutto come una consolante «commemorazione religiosa» ad imitazione della essenziale liturgia riformata. Dal numero di parrocchie dove ormai non si celebra più la Messa ai funerali, sembra che una parte del clero torinese sia caduto in quello che almeno fino ad ora rappresenta ancora un grave errore dottrinale.

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Enzo Bianchi ha levato un grido di dolore contro le mormorazioni che devastano la vigna del Signore e ledono la buona fama di tanti. Forse lo stesso ex priore potrebbe fare la sua parte e mettere fine alle mormorazioni che lo riguardano spiegando finalmente – con parresia evangelica – che cosa sia veramente successo a Bose di tanto grave da indurre la Santa Sede, con provvedimento approvato in forma specifica dal Santo Padre, ad allontanarlo.

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Devastationis Custodes

Il vescovo di Cremona Antonio Napolioni è uno di quei prelati progressisti che non riesce in alcun modo a simulare la sua brama di potere e di carriera e ancora oggi è solito trascorrere molto tempo a Roma girovagando nei palazzi dei dicasteri romani e intorno a S. Marta intento a percepire se l’aria potesse tirare mai nella sua direzione. I meriti li avrebbe tutti: un seminario semivuoto dove prima che egli arrivasse era fiorente, un clero vecchio, una lotta condotta senza quartiere – ancora ai tempi di Summorum Pontificum – contro la Messa antica che aveva confinato in fondo ad un cortile, la bellissima cattedrale scempiata dal più cervellotico «adeguamento liturgico».

Adesso però ha superato sé stesso. Nello splendido Battistero di Cremona, ancora officiato e quindi non ridotto ad usi profani e dove ancora si amministrano i Sacramenti, è stato appeso, con il consenso di Sua Eccellenza, un enorme coccodrillo, ultima creazione di Maurizio Cattelan, il quale ha spiegato che «i coccodrilli sono stati protagonisti di riti, religioni, credenze magiche, leggende metropolitane, sono creature che spaventano e affascinano insieme e sono state profondamente simboliche fin dall’inizio dell’umanità». L’installazione è denominata significativamente Ego. C’è chi a fronte di tale orrore ha chiamato in causa l’episodio evangelico della cacciata dei mercanti dal tempio da parte di Gesù: «Domus mea domus orationis, vos autem fecistis eam speluncam latronum» (Mc. 11, 17). La domanda però – sempre più diffusa fra i semplici fedeli – che non sono tutti “adulti” ma nemmeno tutti stupidi è una altra: “Ma quell’8 per mille che consente ai vescovi di compiere tali nefandezze, se lo meritano?”. Gli ultimi risultati del gettito cominciano a dirci che una certa presa di coscienza è in corso…

Il Santo Padre ha finalmente firmato la bolla di unione della diocesi di Fossano con Cuneo e ha nominato monsignor Piero Del Bosco primo vescovo della nuova diocesi. Grandi celebrazioni e foto ricordo del presule e dei suoi presbiteri in cattedrale con indosso quelli che, a prima vista, appaiono più che paramenti, variegate e multicolori piastrelle da piscina o da interni. L’insieme è surreale, ma non stupefacente. L’effetto, più che ecclesiale, appare circense… vos estis lux circi oppure circenses dabo vobis.  Qualcuno ci ha invece spiegato che chi ha ideato il paramentale – sicuramente assai costoso – si sia ispirato al “mosaico interpellante” di Amoris Laetitia, 57: sessualità, famiglia, gender. Monsignor Del Bosco o… monsignor del circo?

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