BERLUSCONES

Partito di lutto e di governo. Forza Italia in coma vigilato

Non basterà una lunga trenodia (e il culto del caro estinto) ad assicurare la sopravvivenza. In Piemonte si teme che la lista Cirio rubi voti e allora si invoca il protezionismo. Ma servono idee e credibilità. Il governatore fa spallucce e continua a tessere la sua rete

Ancora troppo lontano il voto, per affidarsi a una prolungata trenodia. Eppure, Forza Italia non pare vedere altro se non il disperato e disperante culto della memoria di Silvio Berlusconi. Confinando la propria azione nel perimetro di una barriera protezionistica che ostacoli concorrenti e competitori, guarentigie in parte assicurate sul piano nazionale da Giorgia Meloni, in parte reclamate sul tavolo regionale dai capataz azzurri piemontesi. Solo un neofita della politica, cui è arrivato per gradi parentali e non certo per quelli guadagnati sul campo della militanza, o chi con la politica, pur continuando a mangiarci dai tempi in cui portava le braghette corte, ci fa a pugni, possono pensare che tutto ciò sia sufficiente a garantire la sopravvivenza di Forza Italia.

Certo, sarebbe stato troppo attendersi dalla prima manifestazione post mortem del Cav, sabato scorso a Novara, il rilancio dell’iniziativa di un partito già da tempo in stato comatoso, ben prima delle avverse condizioni di salute del suo amato leader. Del resto, un ceto dirigente selezionato secondo liturgie di corte e che ha vissuto di luce riflessa dal Re Sole non è propriamente avvezzo a muoversi in campo aperto, misurando talenti e opportunità. Eppure, persino a questa quintessenza delle quarte file non può sfuggire che in politica servono proposte e credibilità, esattamente ciò di cui è sprovvista oggi FI. Se possibile, in ambito piemontese, gli azzurri in questi anni di governo della Regione, si sono limitati a essere comodamente a rimorchio del presidente Alberto Cirio. Non un’idea, non un intervento, una presa di posizione che resti scolpita o anche solo leggermente incisa nella memoria di una legislatura in cui al partito che lo ha espresso è bastato e avanzato il ruolo del governatore, lasciando nei fatti il dibattito e la scena ai due maggiori alleati, uno dei quali tale (anzi il principale) è diventato in corso d’opera.

Quanto alla credibilità, politica ovviamente, è arduo cercarla laddove si suppone nasca, ovvero nel consenso. Oggi coloro che ricoprono ruoli apicali o poco sotto, rispetto alla trentennale vita del partito appartengono a quelle che in altri tempi si sarebbero detti rincalzi. E chi, oggi, non riveste più cariche elettive non essendo riusciti a tornare in Parlamento vengono lautamente mantenuti negli staff ministeriali. Due esempi a caso: gli ex Marco Perosino e Diego Sozzani, entrambi al seguito di Paolo Zangrillo, il ministro e coordinatore regionale del partito la cui notorietà non pare aver ancora superato quella del fratello che per anni e fino alla fine è stato il medico personale del Cavaliere.

È questo il bagaglio, composto per gran parte di figure che non si sono mai misurate con il voto se non con quello obbligatoriamente imposto dalle liste bloccate, con cui il partito orfano del Capo e senza che si intravveda l’ombra di un erede, s’incammina verso una campagna elettorale che, per il Piemonte, intreccia Regione e Parlamento Europeo? E quanto potrà pesare un’attività politica sul territorio che scompare al raffronto con quella storicamente forte e sedimentata della Lega, per non dire con quella arrembante e capillare di Fratelli d’Italia? Una rete di sindaci e amministratori locali sempre più smagliata, non aiuta di certo. Così come la manciata di persone al convegno novarese, gran parte dei quali di riffa o raffa addetti ai lavori, non hanno dato di sicuro l’immagine di un partito che, pur sull’onda della dipartita dell’Unto del Signore, possa mostrare quella resurrezione peraltro non emergente, come si sarebbe potuto supporre, a partire dai sondaggi (già belli che sgonfiati). E quegli “oltre mille” nuovi tesserati sbandierati da Zangrillo? Rigor mortis.

Ma lo snodo – e l’abbaglio – riguarda quella linea protezionistica che appare prevalente nelle intenzioni (difficilmente, come si vedrà, nella traduzione pratica) della dirigenza regionale azzurra. Se, come si diceva, Forza Italia già può contare su quella moratoria imposta dalla Meloni, avvertendo la premier il rischio di uno spostamento eccessivo dell’asse governativo e il venire meno (soprattutto in vista dell’auspicato accordo tra Popolari e Conservatori in ambito europeo) di un partito “cuscinetto” tra il suo e la Lega, ciò non pare bastare ai capataz azzurri del Piemonte. Le parole arrivate, sia pure da esponenti di secondo piano, in quel di Novara circa la contrarietà alla lista del presidente, per non dire ad accordi con altre formazioni civiche suonano come un diktat improvvido e strategicamente volto soltanto a preservare (forse) alcune posizioni. Certamente a irritare non poco il diretto interessato: Cirio non avrebbe fatto mistero della sua decisa contrarietà a quel tipo di schema, liquidando peraltro i desiderata autoconservativi azzurri con una semplice quanto eloquente alzata di spalle. Il tema, tuttavia, resta. Il no alle liste civiche di appoggio e il “ni” a quella cui da tempo sta lavorando Gian Luca Vignale, sulla falsariga di quanto già avvenuto con successo in Veneto per Luca Zaia, in Friuli per Massimiliano Fedriga e il Lombardia per Attilio Fontana, ma anche per altri governatori attenti a puntare sul consenso personale intercettando voti altrimenti a rischio se ricondotti alle formazioni di partito, pone Forza Italia in una situazione di conclamata debolezza e plastica assenza di visione strategica. Costruire il futuro del partito e cercare di recuperare il molto terreno perduto da anni, cercando di limitare l’offerta anziché accrescerla non può che apparire una linea dettata dal timore e dalla disperazione.

Linea che non trova sul fronte pressoché opposto Cirio, ma per motivi diversi anche la Lega. Non è un caso che il viatico convinto alla lista del presidente sia arrivato dal segretario regionale Riccardo Molinari, ben conscio come tutta la dirigenza del suo partito, di quanto possa risultare fastidioso un partito satellite della Meloni troppo forte, anche in ambito regionale. E per limare le già corte unghie di Forza Italia, lo stesso Molinari guarda con attenzione addirittura a una intesa, pur con camuffamenti di rito, con il Terzo Polo a sostegno di Cirio. Quest’ultimo, come si è detto, non mostra preoccupazione e nell’ostentare tranquillità c’è anche il voler sminuire il peso di quelle sortite azzurre novaresi, che seppur arrivate da un caporale delle retrovie potrebbero aver fatto da ventriloquo al reale pensiero del coordinatore regionale azzurro (che però avrebbe smentito).

Il governatore, da par suo, coglie al volo l’occasione per rilanciare e sparigliare: al dichiarato obiettivo di rinserrare i ranghi e mettere i migliori per recuperare consensi e imboccare la strada della resurrezione azzurra, dall’entourage di Cirio si fa notare come non ci sia miglior sistema che candidarlo al Parlamento Europeo. Come con perfido realismo si fa notare: il massimo del contributo che il presidente potrebbe dare al partito. Al momento, certamente, la migliore risposta.

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