RIFORME

Ai Comuni poteri delle Regioni. Sindaci, politica divisa sul tris 

Oggi a Palazzo Chigi la legge delega sugli enti locali. Alcune materie e relative risorse (ancora da definire) dovrebbero passare dai governatori ai primi cittadini. Canelli (Lega): "Finalmente verso il federalismo comunale". Sempre meno chance per il terzo mandato

Mentre i sindaci guardano preoccupati al rischio di non poter aprire molti cantieri del Pnrr, il Governo ne apre uno atteso da quasi vent’anni: quello destinato a ricostruire proprio l’impianto normativo – regole, poteri, risorse – dei Comuni che oggi di fronte alla sfida dei fondi europei, ma non solo, mostra quanto sia datato e ormai inadeguato.

Nel Consiglio dei ministri di questa mattina è previsto l’approdo della legge delega, ovvero quel piuttosto ampio recinto normativo entro il quale il Governo dovrà operare con decreti legislativi per una riforma attesa e annunciata da quasi vent’anni. Non pochi i punti su cui dovrebbe fondarsi in cambiamento del ruolo degli enti locali, da quello più piccolo Morterone in provincia di Lecco che con i suoi 31 abitanti strappa il record al piemontese Moncenisio che ne conta “ben” 10 in più, fino ad arrivare a Roma Capitale. Passaggio di alcune competenze dalle Regioni ai municipi restituendo in parte ciò che la riforma del Titolo V della Costituzione aveva tolto, più facilità nella fusione di piccoli territori in un unico Comune incentivata da una maggiorazione dei fondi statali, aumento del personale e di conseguenza delle risorse ponendo rimedio a uno dei maggiori problemi che attanagliano da tempo soprattutto gli enti locali piccoli e medi, concorsi ad hoc per i segretari comunali e spoil system legato al mandato del sindaco per i direttori generali. Queste solo alcune delle innovazioni previste.

Ma si scrive Comune e si legge sindaco. E proprio sulla figura dei primi cittadini e sul suo ruolo è destinata a imperniarsi la riforma, ma anche a svilupparsi una discussione politica che, oggi, è impossibile dire dove porterà. Comunque, “finalmente si procede a una revisione organica del Testo unico degli enti locali che risale a prima della riforma del Titolo V e a parte alcune innovazioni è indiscutibilmente vecchio”, osserva Alessandro Canelli, sindaco leghista di Novara. Il leader del suo partito, da tempo accende i riflettori su un tema che è strettamente legato alla riforma: “Io sono a favore del terzo mandato di governatori e sindaci – ha detto ancora recentemente Matteo Salvini –. Se uno è bravo può farne anche quattro, se uno è capra anche uno è troppo”. E accomunando primi cittadini a presidenti di Regione,

Salvini ha toccato un tasto assai delicato, visto che per i vertici regionali le chance di poter fare il tris sembrano sempre più ridotte al lumicino, nonostante i balzi in avanti di Luca Zaia e altre spinte che, sul versante opposto, arrivano da Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, stoppati con rude decisione dalla loro segretaria Elly Schlein. Nel centrodestra FdI non ha alcun interesse a favorire la permanenza ulteriore di attuali governatori non suoi, da qui il quasi dichiarato no dei meloniani. Quanto questo abbinamento potrà restringere la strada verso il terzo mandato si vedrà, ma l’impressione è quella di forti resistenze su vari fronti, trasversalmente a maggioranza e opposizione.

La legge delega attesa oggi a Palazzo Chigi prevede anche una revisione delle norme su incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità per i sindaci. “Oggi una legge se non incostituzionale certamente discutibile, impone ai sindaci, esclusi quelli dei piccoli comuni, di dimettersi sei mesi prima delle elezioni se vogliono candidarsi al Parlamento”, sostiene Canelli. “Cosa che non accade per le consultazioni regionali, dove è prevista la scelta dopo l’eventuale elezione”.

Ma ciò che viene atteso da gran parte dei sindaci, con il presidente di Anci Antonio Decaro che aspetta un confronto con il Governo, è quell’aumento di autonomia – “un vero federalismo fiscale indispensabile per i Comni”, sottolinea il sindaco di Novara – e di risorse ritenuto ormai indispensabile e che dovrà essere ceduto in gran parte dalle Regioni, peraltro già chiamate a una cessione di “sovranità” a favore delle Province anch’esse in vista di riforma. Il partito di Giorgia Meloni non fa mistero di chiudere la partita prima delle europee. Un obiettivo che, per la complessità degli interventi e le diverse posizioni anche all’interno della stessa maggioranza, appare forse troppo ambizioso.

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