DIRITTI & ROVESCI

Pm sotto indagine disciplinare, la difesa delle toghe rosse

Area, la corrente della magistratura progressista, attacca il ministro Nordio e la politica. La solita "emergenza democratica" per l'indipendenza in pericolo. Ma nei casi Renzi ed Esposito le violazioni sono piuttosto inconfutabili. E avranno conseguenze anche al Csm

Atti intimidatori, azioni disciplinari avviate per colpire magistrati “autori di scelte giudiziarie sgradite”, una precisa volontà del potere politico di attaccare l’indipendenza della magistratura. Un manifesto, quello redatto da Area, la corrente progressista, che si scaglia contro l’iniziativa disciplinare promossa dal ministro Carlo Nordio nei confronti dei pm titolari dell’inchiesta Open a carico di Matteo Renzi. Nel loro j’accuse le “toghe rosse” accomunano le contestazioni a carico di due pm di Firenze, Luca Turco e Antonino Nastasi, con l’avvio del procedimento da parte del Procuratore generale della Corte di Cassazione nei confronti dei magistrati di Torino Gianfranco Colace e Lucia Minutella nel processo in cui compare l’ex senatore del Pd Stefano Esposito.

In entrambi i casi sarebbero state violate regole processuali, disattese pronunce della Corte di Cassazione ed eluse le guarentigie parlamentari. Acquisizione di conversazioni telefoniche non autorizzate, sequestri di materiale dichiarati illegittimi dalla Cassazione, ma ugualmente conservati e di cui copia sarebbe invece stata addirittura inviata al Copasir, e altre gravi infrazioni di legge, oltre che comportamenti scorretti tenuti nei confronti degli indagati e dei loro difensori. Questa è la natura delle contestazioni, dietro cui però la componente di sinistra della magistratura vede un preciso disegno politico, talmente subdolo da essersi insinuato all’interno della corporazione (“tra di noi”).

«Nella vicenda che riguarda la procura di Firenze il ministro ancora una volta, strumentalizza il potere disciplinare per colpire gli autori di scelte giudiziarie sgradite. Ancora una volta il ministro confonde la sede disciplinare con i rimedi giurisdizionali che fondano le garanzie del nostro sistema giudiziario. Ancora una volta il ministro intimidisce i magistrati che si azzardano ad esercitare le proprie prerogative anche in indagini o in processi scomodi che riguardano condotte dei potenti». Questo il tenore dell’allarme “democratico” lanciato da Area che tira esplicitamente in ballo la cosiddetta “Bigliettopoli”, in cui è coinvolto tra gli altri l'ex parlamentare Esposito. «Continuano ad arrivare segnali all’intera magistratura di non disturbare i potenti. Questo è il messaggio sottostante le ultime iniziative disciplinari mosse contro atti di semplice esercizio della giurisdizione nell’ambito dei procedimenti noti come “Bigliettopoli” e “Open”». Per le toghe progressiste la vicenda di Torino e l’iniziativa disciplinare avviata nei confronti dei colleghi piemontesi presenta «caratteri analoghi» a quella intrapresa nei riguardi dei pm di Firenze e «segue il clamore sollevato dalla politica, dimostrando che questa deriva rischia di compromettere irreparabilmente l’indipendenza della magistratura, penetrando anche tra noi. Non abituiamoci, non rinunciamo alla indignazione».

Il caso Open è piuttosto noto. Si tratta della fondazione che secondo i due pm oggi sotto indagine sarebbe stata di fatto un’articolazione di partito, nonostante i diversi stop incassati dalla Cassazione. Per non dire della composizione del faldone delle indagini: quasi 100mila pagine, in cui c’è di tutto, persino un estratto conto di Renzi che secondo la Cassazione (che il 18 febbraio 2022 aveva comunicato ai pm l’annullamento senza rinvio del sequestro) andava distrutto, e invece sarebbe stato inviato al Copasir dopo, e contro, la decisione. Insomma, i magistrati se ne sarebbero bellamente fregati della Corte Suprema, un comportamento che viene definito “grave violazione di legge figlia di inescusabile negligenza”.

Stessa contestazione che potrebbe ravvisarsi per i colleghi di Torino. Come ricostruito dal Riformista, il punto di partenza è un’indagine per il reato di associazione mafiosa contro ignoti, iniziata nel capoluogo piemontese nel 2014 sulla base di intercettazioni. Ci sono due persone ascoltate alla vigilia di un bando di gara per i lavori di ristrutturazione del museo di Reggio Calabria. Dicono che “da giù”, cioè dalla Calabria, hanno ricevuto sollecitazioni per trovare al nord un’azienda che disponga delle prerogative necessarie per poter partecipare alla gara. Con strane triangolazioni e probabili casi di omonimia, gli investigatori arrivano a individuare l’imprenditore torinese Giulio Muttoni e la sua Set Up Live che vince la gara. Per i magistrati lui e i suoi soci si sarebbero messi a disposizione delle persone intercettate e legate alla criminalità organizzata.

Muttoni è amico strettissimo di Stefano Esposito, padrino di battesimo di sua figlia. I carabinieri lo ascoltano per tre anni e controllano i suoi messaggi Whatsapp, benché dopo qualche settimana abbiano già capito che è un senatore. Lo sospettano di aver aiutato l’amico a superare un’interdittiva antimafia del prefetto di Milano in seguito all’aggiudicazione di un lotto di Expo 2015. Nel complesso delle 500 intercettazioni ottenute senza alcuna autorizzazione del Senato 130 sono usate come indizi di colpevolezza. Le intercettazioni complessive sono quasi 1300, una violazione di legge costante e reiterata nonostante diverse richieste avanzate nel tempo dai difensori di Esposito. Nessuno dei tre pm che si sono succeduti nelle diverse inchieste che si sono intrecciate, prima Paolo Toso e Antonio Smeriglio, poi Gianfranco Colace, ha mostrato di porsi il problema. Anzi, quest’ultimo ha valorizzato il contenuto delle captazioni senza porsi il dubbio della loro inutilizzabilità. Esposito, vista l’inerzia della magistratura, si era allora rivolto al presidente del Senato Pietro Grasso che aveva quindi chiesto ed ottenuto il voto della giunta e dell’aula per la trasmissione degli atti al ministro di Giustizia, al Csm e al pg della Cassazione affinché avviasse l’azione disciplinare nei confronti delle toghe torinesi. Le quali, con molta disinvoltura, avevano continuato a indagare il senatore, violando anche la legge che consente la richiesta di autorizzazione a posteriori purché la captazione del parlamentare sia stata casuale.

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