RIFORME

Province, addio alla riforma.
Costa troppo, mancano i soldi

Per i nuovi organi e le maggiori competenze servirebbe un miliardo all'anno. Meloni e FdI mettono una pietra tombale sul superamento della Delrio. Fuoco amico sulla Lega. Il ministro Calderoli era pronto a presentare a Cuneo la "rinascita" degli enti

“Il mio obiettivo è ridare vita alle Province entro il 2024, con l’elezione diretta del presidente”. Mai auspicio fu stroncato con tanta rapidità e non meno decisione di quello che Roberto Calderoli aveva esternato appena una settimana fa. Ora al ministro leghista degli Affari regionali e le Autonomie, tocca pure rivedere l’agenda che, al primo di ottobre, vede fissato un incontro in Confindustria a Cuneo per annunciare “La rinascita delle Province”. Altro che rinascita, sulla riforma degli enti intermedi è stata appena messa una pietra tombale che, forse, ma non è detto, potrebbe essere sollevata non prima del 2025. La stessa pietra che, ancor prima di continuare a tenere in vita l’ormai unanimemente esecrata legge Delrio con tutte le conseguenze negative mostrate negli ultimi anni, rotolando dal fianco destro della maggioranza è finita tra le ruote del carroccio. 

Il segnale arrivato, in questi ultimi giorni, da Fratelli d’Italia seguendo alla lettera la linea indicata da Giorgia Meloni è chiaro e netto, senz’appello: la riforma delle Province può attendere. La motivazione, ancor più granitica: non ci sono i soldi per tradurre in pratica ciò che, tutto sommato, non sarebbe così complesso mettere nero su bianco in uno strumento legislativo. Tra costi diretti, come il ritorno alle indennità per presidente, assessori e consiglieri e, soprattutto, quelli derivanti dalle molte competenze che dovrebbero essere restituiti dalle Regioni alle Province, si fa presto a sfiorare il miliardo, da trovare ogni anno.

Denaro che non c’è e che, non può certo saltare fuori dalla legge di bilancio che il collega e compagno di partito di Calderoli, Giancarlo Giorgetti ha spiegato in lungo e in largo “non permetterà di fare tutto”, anzi imporrà di rinunciare a molto. Una rinuncia, quella decisa a Palazzo Chigi e al vertice del partito della premier che ha pure alcuni risvolti politici, oltre allo scorno leghista. L’andare dritti nel solco tracciato da Calderoli, sventolando insieme a quello dell’autonomia regionale rafforzata pure il vessillo delle resuscitate Province, farlo a costo di trovare almeno una parte delle risorse avrebbe rischiato di prestare il fianco agli attacchi di Giuseppe Conte e dei suoi Cinquestelle. Da sempre contrari alla riforma, pronti a tradurre quest’ultima con un costoso poltronificio a fronte di tagli anche sulla spesa sociale.

Lo stesso Pd, non del tutto contrario alla riforma destinata a mandare in soffitta quella del suo ex ministro Graziano Delrio, avrebbe potuto trovare spunti per attacchi alla maggioranza, tanto più in vista delle europee e delle regionali laddove, come in Piemonte, si voterà. Tiepida fin dall’inizio, nella maggioranza, la posizione di Forza Italia che oggi certamente non si duole del rinvio che ha tutta l’aria d’essere sine die. Tanto più se è il partito di Matteo Salvini - “Le Province servono per scuole e strade ed è una battaglia che spero di portare al successo”, aveva detto un mese fa a Forte dei Marmi, a mostrarsi non poco irritata dalla rapidissima piega che hanno assunto gli eventi.

Il caso, formale, che ha rimesso nel cassetto la riforma è di quattro giorni fa, quando alla ripresa dei lavori della Commissione Affari Costituzionali del Senato non si è presentato la sottosegretaria agli Interni Wanda Ferro e di ferro meloniana. Una circostanza apparentemente imprevista e casuale dietro cui non è difficile intravvedere un’accorta regia, che ha comunque fornito il destro alla Commissione per rinviare la discussione. A data da destinarsi. Proprio il non aver indicato un termine per la ripresa dei lavori attesta la volontà della premier e del suo partito di mandare in soffitta, per un bel po’, quella riforma di cui né lei né altri esponenti di primo piano di FdI si erano mostrati entusiasti e decisi a tenerla in cima all’agenda. Le indiscutibili ragioni economiche, come peraltro da più parti previsto, hanno messo il timbro al rinvio senza data del testo su cui la Lega aveva puntato molto. 

Da quelle parti Calderoli non era il solo a preconizzare un election day con le europee e non pochi erano, nelle articolazioni territoriali del partito, ad annusare già la possibilità di puntare proprio sulle Province, come nuova opportunità di elezione diretta e di maggior potere (anche di spesa) rispetto alla situazione attuale gravata da poche competenze e un sistema elettivo di secondo grado. Insomma, anche in Piemonte dove le concomitanti elezioni regionali avevano fatto aguzzare lo sguardo a più di uno degli attuali consiglieri e assessori sulle Province come possibile approdo alternativo, si dovrà rimandare il proposito. Senza sapere fino a quando.

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