SACRO & PROFANO

Il sinodo cambierà i connotati di una Chiesa già oggi irriconoscibile

Laici e "ministresse" che distribuiscono la Comunione alla presenza di sacerdoti in panciolle, preti che "benedicono" matrimoni civili, tardo sessantottini che predicano la svolta protestante. Ai funerali di mons. Ghiberti nessun rappresentante del Comune

Lunedì scorso si sono svolti nel santuario di Santa Rita a Torino i funerali di monsignor Giuseppe Ghiberti. Alla Messa, presieduta dall’arcivescovo, mons. Roberto Repole, erano presenti sei vescovi, almeno cento sacerdoti e molti diaconi. Alla Comunione, i ministri straordinari si sono mossi per distribuire il Corpo di Cristo ai fedeli con calice e patena. Chi frequenta il santuario sa bene come un gruppo di “ministre straordinarie” – che indossano una specie di stola bianca a punta – distribuiscano solitamente la Comunione ai fedeli anche quando ci sono i preti celebranti, i quali stanno comodamente seduti sui loro scranni. Il magistero dell’ufficio liturgico diocesano è così pienamente realizzato.

Tale costume è ormai generalmente invalso, ma contrasta con le norme generali che lo proibiscono quando siano presenti alla celebrazione i ministri ordinati: vescovi, presbiteri e diaconi. Così il canone 230,3: «Ove lo suggerisca la necessità della Chiesa, in mancanza di ministri ordinati, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e distribuire la sacra Comunione». Sul settimanale diocesano viene annunciato il corso per i ministri straordinari dell’Eucaristia. Saranno edotti anche su questo punto? Oppure non se ne farà cenno in quanto norme ritenute obsolete e da ridicolizzare e quindi da aggirare. Non ci sarebbe nulla di cui meravigliarsi se solo si pensa che cosa prescriveva il Concilio (Sacrosantum Concilium, 36) rispetto all’uso del latino come lingua ordinaria nei sacri riti e concedendo l’uso del volgare nelle letture, nelle monizioni e nei canti e come invece oggi lo straordinario – il volgare – sia diventato obbligatorio e l’ordinario – il latino – una proibizione. Come raccontava un arguto prelato, la Chiesa del post Concilio è il regno delle eccezioni dove solo quando si deve dire di no si applicano scrupolosamente le regole. Soprattutto per inibire la celebrazione della Messa tridentina.

Il parroco di Santa Rita è monsignor Mauro Rivella, economo diocesano, già segretario dell’Apsa ed aspirante alla segreteria del C9, esponente di spicco della cupola “boariniana” e da sempre il più episcopabile del gruppo ma, soprattutto, illustre canonista. Ai funerali di monsignor Ghiberti è stata notata – nonostante l’enorme lavoro da lui svolto in questi anni per la Sindone e quindi per la città – l’assenza di rappresentanti della giunta comunale. Eppure, la compagine guidata dal sindaco Stefano Lo Russo non manca di esponenti del più puro cattocomunismo.

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Nella diocesi di Torino fecero notizia le nozze civili di un consigliere comunale di La Loggia benedette dal parroco don Ruggero Marini, uno dei superstiti dinosauri della sinistra pellegriniana. Adesso ci è arrivato pure don Vincenzo Barone, parroco di Domodossola, vicario episcopale dell’Ossola e già condirettore dell’ufficio pastorale della famiglia della diocesi di Novara, il quale, in sala consiliare, ha benedetto gli anelli e fatto recitare il Padre Nostro agli amici nubendi, il sindaco Fortunato Lucio Pizzi e consorte, che erano stati appena uniti nel matrimonio civile dal vicesindaco della città. Raggiunto dall’inviato de La Bussola Quotidiana, il pacioso don Vincenzo ha risposto con tranquillità che: «C’è stata Amoris Laetitia, ci sono dei cammini, c’è un atteggiamento di vicinanza». Dove il peccato – diciamo noi - è diventato una “fragilità” e non si può essere troppo “rigidi”, cioè fedeli al Magistero della Chiesa. Che finisse così lo avevano ben compreso i famigerati cardinali dei Dubia che il papa non ha ricevuto e ai quali non ha mai risposto. Uno di questi chiedeva se il n. 79 di Veritatis Splendor, dove si condannano atti intrinsecamente disonesti – come l’adulterio – fosse ancora da considerarsi valido. La risposta la stanno danno don Ruggero e don Vincenzo, i quali non fanno altro che aprire quei «processi» tanto raccomandati da papa Francesco. Chissà cosa dirà – o meglio non dirà – il rubicondo e sempre loquace vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla?  Pare sia molto impegnato a preparare il suo intervento per il prossimo sinodo sulla sinodalità. Speriamo che questa volta – come accadde con quello sulla famiglia – non susciti il malumore e la contrarietà del papa quando, proprio sull’oggettività della norma morale, osò timidamente difenderne la fondatezza. Alla fine, si è visto come è finita.

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Nel suo consueto sermone settimanale sulle colonne di Repubblica Enzo Bianchi, inserendosi nel dibattito aperto dal teologo valdese, il venerando Paolo Ricca, sulla fede che non è più capace di apologia, ci fa sapere che «non c’è molto da dire su Dio. Dio non è sempre una buona notizia, Gesù lo ha reso buona notizia per noi, il Vangelo!» Secondo l’ex priore di Bose, Gesù non nominava quasi mai Dio e «mai consegnava formule, verità codificate o dottrine a chi lo ascoltava. Quando voleva parlare di Dio la prima preoccupazione di Gesù era renderlo una buona notizia (evangelo), in modo che emergesse di lui un’immagine diversa da quella preconfezionata da sacerdoti e dottori della legge». Come per tutte le argomentazioni degli ex sessantottini, sembrano idee nuove e originali, ma non lo sono.

Uno dei riferimenti di quella generazione – insieme ad Hans Küng – è il padre domenicano Jean Cardonnel (1921-2009) che per tutta la vita fu l’intrattabile leader di ogni contestazione, sia clericale sia politica, uno di quei vedovi inconsolabili degli anni di piombo della Chiesa e della società per il quale, non solo Mao Tse Tung, Che Guevara, Ho Chi Minh ma anche lo sterminatore Pol Pot, già brillante studente alla Sorbona, erano da venerare e assumere come modelli. Nel 1969 il religioso francese, conosciuto nel suo Paese come «la légende du catholicisme d’extreme gauche», diede alle stampe il saggio Dio è morto in Gesù Cristo in cui si teorizzava che quello che conta è unicamente l’umanità di Gesù Cristo. Tutto ciò che lo supera, viene eliminato. Una prova? «Il racconto della Genesi non ha alcun valore e non so proprio cosa possa significare per me, non comprendo quale evento sovrasti la storia mia propria». Il padre Cardonnel – come Enzo Bianchi – sono autosufficienti. La loro coscienza non gli rivela l’idea di creazione o di rapporto con un Essere che li trascende. Quindi la creazione non esiste, essi sono causa di sé stessi, sono dio. Ciò che la coscienza loro rivela è la divinità immanente dell’umanità: «Dio è l’animatore, il risvegliatore della selva dei popoli oppressi». Il Dio dei filosofi e dei dotti, il Dio di Abramo e di Giacobbe, sono espunti dalla volontà di assoggettare la trascendenza all’immanenza del pensiero. Se Dio ha da essere conforme a ciò che ne pensa lo spirito umano, va da sé che per il progressismo Dio non supera l’uomo. Dio si trova in tutti gli uomini, per cui il vero tempio di Dio è l’uomo e il vero culto di Dio è il servizio dell’uomo. In un altro articolo del 14 agosto lo stesso Enzo Bianchi – sulla scia di Massimo Cacciari che ha ammesso la sconfitta ideale e politica della sua generazione – tenta una finta autocritica sostenendo che «sconfitti non significa aver torto o aver visto male!». Visti i risultati, si potrebbe dire non solo sconfitti ma anche falliti.

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Tra poco più di un mese saremo nel pieno svolgimento della prima sessione del sinodo sulla sinodalità che – secondo alcuni – avrà il fine di cambiare i connotati della Chiesa cattolica. Cominciando da oggi, dedicheremo all’evento qualche nota. Tornando dalla Mongolia, papa Francesco, parlando con i giornalisti, ha fatto sapere che i lavori sinodali saranno circondati dal più stretto riserbo e le notizie saranno filtrate affinché non si alimentino illazioni e non si fomenti il «chiacchiericcio». Insomma, saranno un po’ come le cronache vaticane pubblicate sul settimanale diocesano e che rappresentano l’esercizio più virtuosistico dell’informazione ad usum delphini. Ora, tutti i vaticanisti più accreditati sanno benissimo che il tanto vituperato «chiacchiericcio» trova la sua fonte e viene alimentato proprio da Santa Marta che lo ha elevato a strumento di governo.

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Sarà un sinodo importante perché esso si ripropone di ripensare la Chiesa trasformandola in una nuova «Chiesa costitutivamente sinodale», modificando gli elementi basilari della sua costituzione. Esso avrà il carattere del «processo» e come modello il sinodo tedesco, il Synodaler Weg. Avverrà così – secondo alcuni – quello che successe al Vaticano II, allorché la componente francese, tedesca, olandese e belga ne dettò l’agenda e ne determinò le conclusioni, così che «Il Reno si gettò nei Tevere», titolo di una delle poche cronache conciliari veritiere e fuori dal coro. In verità, lo stesso percorso fu compiuto fin dagli Anni Cinquanta dagli anglicani e dai protestanti liberali che hanno sdoganato ogni adattamento al mondo con risultati catastrofici, fino ad arrivare al punto che oggi quasi due terzi dei vescovi anglicani non riconoscono più l’autorità dell’arcivescovo di Canterbury.

A questo proposito hanno suscitato un certo scalpore le recenti dichiarazioni di Gavin Ashenden, ex vescovo anglicano e già cappellano della regina Elisabetta, convertitosi al cattolicesimo: «Credo che gli ex anglicani possano essere di qualche aiuto, perché hanno già visto lo stratagemma della sinodalità applicato alla Chiesa d’Inghilterra, con effetti divisivi e distruttivi. Da ex anglicani abbiamo già visto questo trucco. Fa parte della spiritualità dei progressisti. In poche parole, avvolgono contenuti quasi marxisti in un linguaggio spirituale e poi parlano di Spirito Santo». L’agenda del Synodaler Weg, avendo come obiettivo il superamento del «clericalismo», propone questi punti che si possono sintetizzare nella decostruzione della morale cattolica e della gerarchia ecclesiastica: 1. partecipazione dei laici nella nomina dei vescovi e democratizzazione delle strutture ecclesiastiche; 2. superamento dell’obbligo del celibato per i sacerdoti; 3. ammissione agli Ordini sacri di persone omosessuali; 4. apertura del ministero sacerdotale alle donne; 5. rivalutazione della omosessualità e accettazione delle unioni omosessuali; 6. abbandono della morale cattolica e della gerarchia ecclesiastica. Non è difficile vedere l’affinità di queste proposte con quelle presentate dai promotori del cammino sinodale. (continua)

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Poiché  da qualche superficiale – che spesso nemmeno conosce i documenti – siamo tacciati di avversione  al Concilio, ci permettiamo di citare un passo di Lumen Gentium che riprende quanto già affermato da Pio XII nell’allocuzione Magnificate Dominum e nell’enciclica Mediator Dei del 1947 in cui si conferma che  sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune, pur partecipando dell’unico sacerdozio di Cristo, differiscono «essenzialmente e non solo di grado» e perciò senza sacerdozio ministeriale non c’è Eucarestia e senza Eucarestia non c’è Chiesa: « il sacerdote ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo, i fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concorrono all’offerta dell’Eucaristia, ed esercitano il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e la carità operosa».

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