IL PIATTO PIANGE

Ai partiti serve l'armocromista. Sono tutti (con i conti) in rosso

Da destra a sinistra, le casse sono vuote. Record negativo per Forza Italia che sfiora i 100 milioni, ma anche Lega, Pd e M5s non se la passano bene. Torna ad aleggiare l'ipotesi del finanziamento pubblico. Solo il 3% dei contribuenti ha devoluto il 2 per mille.

C’è un colore che unisce tutti i partiti, dai più grandi ai più piccoli. Le lontane origini ideologiche, ovviamente, non c’entrano e in questo caso l’armocromista unico sta nei conti delle forze politiche, tutti inesorabilmente in rosso. Non certo una novità, da sempre i bilanci delle formazioni politiche chiudono con più o meno pesanti deficit e dal 2013 quando il Governo di Enrico Letta eliminò il finanziamento pubblico dei partiti, la strada per far quadrare i conti è sempre stata in salita. Tant’è che oggi, pur timidamente temendo la reazione dell’elettorato, c’è chi prova a lanciare segnali per ripristinare il sistema cancellato da quello che lo storico tesoriere dei Ds e del Pd poi, il mitologico Ugo Sposetti, ancora oggi bolla come “errore politico”, commesso da Letta “nel tentativo di togliere ai Cinquestelle l’arma della propaganda” imperniata sull’immagine dei partiti che rubano i soldi ai cittadini che pagano le tasse.

Strano ma vero, tra coloro che pur prendendola alla larga ragionano su un possibile ritorno al finanziamento pubblico, c’è proprio un grillino, l’ex ministro Stefano Patuanelli il quale scopre l’acqua calda spiegando che la politica senza soldi non si fa, ma aggiunge che esiste un problema e lo pone rimandando “al Silvio Berlusconi di turno che mette tanti milioni all’anno nel suo partito” e chiedendo che, rispetto alle altre forze politiche, ciò sia democratico. Eppure è proprio la forza politica fondata (e abbondantemente) finanziata da Berlusconi che apre la classifica dei bilanci in deficit. Il rosso degli azzurri, in base agli ultimi dati sfiora la cifra tonda e s’attesta a 98,4 milioni. Un record quello di Forza Italia che, perduto il leader fondatore e finanziatore, resta legato a doppio filo alla famiglia Berlusconi e a quelle fidejussioni su cui più di una generazione politica ha campato, spesso pure scialando e altrettanto spesso scordandosi di contribuire alla vita del partito, versando il dovuto. Non sono lontani gli anni in cui, a Torino la sede regionale del partito dovette essere trasferita proprio per la mancanza di fondi e l’allora coordinatore regionale Gilberto Pichetto, oggi ministro, pur attentissimo ai conti dovette fare i salti mortali per tenere aperto un luogo dove riunire anche quegli eletti e remunerati che facevano orecchie da mercante. 

Un po’ come sta capitando nell’altro partito del centrodestra, il secondo nell’elenco a saldo negativo, ovvero la Lega. Le casse salviniane, al netto dei garbugli con i famosi 49 milioni e della bad company, piangono qualcosa come 20 milioni e mezzo. Pure lì c’è chi è unito da morosi sensi e scorda di versare. Pare che, solo guardando alle cose piemontesi, ci sia più di un consigliere e pure qualche assessore che visto l’approssimarsi delle elezioni e la richiesta di essere in regola con le quote prima di finire in lista, stia recuperando in fretta.

Non faranno di certo andare in brodo di giuggiole Elly Schlein i ragionamenti, assai poco politically correct di Sposetti, ma il problema c’è l’ha pure lei è non sono bruscolini. Il rosso del Pd è (anche) quello dei nove milioni che mancano e che pesano, tanto da vedere una novantina i dipendenti del Nazareno sulla soglia del licenziamento. E nonostante Giuseppe Conte continui a sostenere che “si può fare politica senza pesare prendere soldi ai cittadini”, i conti del suo partito languono per 1,1 milioni. Fa decisamente bene, non solo in quanto a voti e consensi, ma anche per quel che concerne le finanze a Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia sfiora il pareggio di bilancio, con un passivo di appena 259mila euro, meno del doppio del rosso di Azione anche se a detta dei vertici del partito di Carlo Calenda quei 123mila euro sarebbero già stati ripienati, mentre sotto i 300mila euro sarebbe la cifra negativa per Italia Viva. Cifre che ogni partito è lesto a rintuzzare, correggere, financo negare, ma che euro più euro meno raccontano di una politica sempre più in difficoltà a far quadrare i conti, incominciando da quelli di casa. 

Abolito in finanziamento pubblico, restano comunque quei non pochi milioni che rappresentano una sorta di finanziamento indiretto e che arrivano ai gruppi parlamentari, circa 30 milioni alla Camera e poco più di 22 al Senato, ripartiti per il peso dei seggi e dunque con al primo posto FdI con circa 16 milioni, il Pd 9,5, e la Lega poco più di 8. Altra fonte di finanziamento, in questo caso attraverso le tasse, ma volontario è quello del 2 per mille. E qui il Pd svetta con l’incasso di 5,7 milioni, seguito da FdI con 3,3 e i Cinquestelle con 1,4, poi sotto il milione c’è la Lega (924mila) e a sopresa il partito di Matteo Renzi che incassa ben 707mila euro da contributi volontari, superando Azione (550mila) e altri minori, con un’altra sorpresa data dall’ultimo posto di Forza Italia che dal 2 per mille ha preso solo 291mila euro. Ma è la percentuale dei contribuenti italiani che hanno deciso di devolvere la quota ai partiti a segnare un’ulteriore distanza tra la politica e i cittadini, anche e soprattutto sulla questione dei costi. Appena il 3 per cento di chi paga le tasse, al momento di scegliere a chi dare quella quota obbligatoria, ha scritto il nome di un partito.

print_icon