SACRO & PROFANO

Bianchi dal papa ma resta il giallo

L'ex priore di Bose in udienza da Francesco. Più che di una riabilitazione sembra il risultato di quel "ravvedimento operoso" intrapreso negli ultimi tempi dal monaco piemontese. I mal di pancia dei progressisti in quest'ultimo scorcio di pontificato

Ieri, dopo tanta insistenza, Enzo Bianchi è stato finalmente ricevuto in udienza dal papa ma non sappiamo se le motivazioni e le cause per cui lo rimosse nel 2021 dalla sua creatura sulla Serra d’Ivrea siano state chiarite o revocate. Più che di una riabilitazione sembra il risultato di quella specie di “ravvedimento operoso” messo in atto da tempo dall’attuale guru di Albiano d’Ivrea e che deve aver portato i suoi frutti. Il suo nome (e cognome) senza altra qualifica o altro riferimento era al sesto posto nell’elenco delle udienze pubblicate nel Bollettino della Sala Stampa del Vaticano.

In un articolo di qualche giorno addietro l’ex priore di Bose si è accodato a coloro che narrano la storia – creduta sempre di meno – del povero papa tanto buono ma assediato dai cattivi conservatori: «Francesco è isolato, a parte quelli più vicini a lui, non è seguito dai cardinali, dai vescovi, dai preti e lo stesso popolo di Dio sembra sordo alla proposta sinodale, lasciano correre tutto quasi nell’indifferenza. E quindi ci si trova in una sorta di iato, tra un Pontefice profetico e il suo popolo, e questo mi inquieta molto perché poi, nella comunicazione attraverso i social media è molto più vivace l’ala tradizionalista». Già, chissà come mai? Non sarà forse che il popolo di Dio ha preso le distanze dal nocchiero della barca di Pietro non sapendo più bene dove voglia condurlo? In questo caso però il sensus fidelium – tanto caro al guru della Madia di Albiano – avrebbe smesso di funzionare.

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Ritorniamo sulle elezioni del consiglio presbiterale della diocesi di Torino, dove sta accadendo di tutto. I “boariniani” si sono disposti “a falange” con buona pace della tanto da loro inneggiata «Chiesa umile». Degli «altri», nessuno ha voglia di implicarsi in un sistema che, chiaramente, ha già tutto in mente, in un inesorabile processo di auto- dissolvimento ecclesiale. Anche le procedure lasciano a desiderare con l’invito dei moderatori delle Unità pastorali a «mettersi d’accordo a voce» – da buoni compagnoni – rendendo così poco chiaro il processo elettorale. L’invito pare però stia cadendo nel vuoto perché, come sempre, nessuno vuole esporsi e palesare le proprie preferenze. Insomma, le elezioni assomigliano a quasi dei “ludi cartacei” di mussoliniana memoria, se non fosse che di mezzo ci sono le anime e l’annuncio del Vangelo, sempre a patto che lo si consideri ancora una priorità per le Chiese che sono in Torino e Susa. Le quali Chiese – come bontà loro i “boariniani” amano dire per giustificarsi – «non sono prive di Vangelo».

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Prima e importante intervista del nuovo rettore del seminario maggiore di Torino, don Giorgio Garrone, in cui delinea, a grandi tratti, quella che è la sua concezione dell’istituzione, della pastorale giovanile e, soprattutto, l’orizzonte di significato e culturale nel quale intende muoversi. Alcuni elementi emergono con sufficiente chiarezza come, per dirne uno, la non-distinzione tra ordinaria pastorale giovanile e pastorale vocazionale, già da tempo da noi evidenziata, e rivelatrice da un lato di una profonda crisi della pastorale vocazionale – che ha perso la propria identità – dall’altro della reale secolarizzazione della società, e in particolare dei giovani che non vengono più formati a una concreta testimonianza nel mondo, come battezzati e come laici.

Il secondo elemento critico, che emerge dall’intervista, è quello che potremmo chiamare “emotivo-psico- affettivo”. Pare quasi che per poter essere ammessi al seminario dopo il propedeutico, per poter camminare verso il sacerdozio e giungere infine ad essere ordinati, ci si debba necessariamente immedesimare psicologicamente con un certo stile ecclesiale, con una certa teologia e con un certo sentire umano. Questo fu l’errore di don Sergio Boarino – che astutamente non viene mai nominato ma che trasuda in ogni riga dell’intervista – e che pare essere la linea dei suoi seguaci, i quali oggi, dopo trent’anni, comandano in diocesi. Il rettore afferma orgoglioso che «non andranno a caccia di vocazioni», laddove non ci sono. Questo, al massimo, accadde ai tempi di Boarino e della Virgo plus quam potens con l’uso sconsiderato della psicologia. Il passo più inquietante è però quando, alla fine dell’intervista, Garrone eleva un inno al dubbio, quasi che incontrare giovani lieti e certi della propria fede e della propria vocazione, generi sospetto e produca repulsione da parte della diocesi e dei superiori del seminario. La certezza è vista come qualcosa da evitare assolutamente, perché nella mente di chi è chiamato a guidare l’esperienza della formazione dei presbiteri e nella mente di gran parte del presbiterio, solo il dubbio, l’ostinato e pertinace dubbio, l’evitare accuratamente ogni forma di certezza metafisica, sarebbe la posizione adeguata a questo nostro tempo. Viene in mente la storica omelia pronunciata nel 2005 dal cardinale Joseph Ratzinger in piazza San Pietro durante la Messa pro eligendo Pontifice: «Oggi avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo». Dio aiuti il seminario di Torino.

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I mal di pancia dei progressisti nei confronti di questa fine di pontificato si vanno facendo sempre più diffusi anche se espressi – ben conoscendo la suscettibilità se non l’irascibilità del papa – in forme circospette e con locuzioni eufemistiche, molto lontane da quella parresia che rimane privilegio del fronte conservatore. Ha iniziato lo storico delle religioni ed allievo di Alberto Melloni, Massimo Faggioli, che ha messo in evidenza con molta cautela come Francesco agisca come un autocrate con tutti i rischi che tale modalità di governo comporta: «Ci vuole un pontefice meno generoso con le parole, più riflessivo e attento», rilevando come la segreteria di stato sia sostanzialmente marginalizzata non soltanto nel governo della Chiesa, ma anche nelle questioni internazionali: «Quando si imposta lo stile di governo nel rapporto tra il papa e la Chiesa come popolo, è ovvio che la stessa idea che ci siano dei mediatori viene relativizzata o disprezzata». E così che lo studioso della “scuola di Bologna” arriva al punto – incredibile! – di tessere l’elogio del tanto disprezzato “appartamento” del Palazzo apostolico che Francesco abbandonò appena eletto – definendolo una «cosa da psichiatria» – per  trasferirsi, tra gli applausi, nella democratica Domus Santae Martae, oggi diventata una specie di bunker: «L’appartamento aveva dei risvolti negativi, però era identificata la porta attraverso la quale passare per far passare alcune questioni» mentre oggi tutto è contradditorio e questo proprio mentre la Chiesa – «che dovrebbe diventare più sinodale diventa invece ogni giorno più papalista». Ancor più duro è lo stesso Alberto Melloni che sulla rivista Il Mulino se la prende con la nuova legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano dove si attribuiscono al papa poteri sovrani sul minuscolo stato in forza del munus petrino. In proposito, il vaticanista Sandro Magister nota: «Mai, in passato, nemmeno nei secoli del “papa re”, si era osato far derivare dal primato religioso conferito da Gesù a Pietro e ai suoi successori un potere anche temporale». Dal che sorge naturale la domanda: perché Francesco si è spinto oltre questo limite? Melloni ritiene che la risposta si debba trovare nel processo al cardinale Becciu per cui l’eventuale sua condanna non sarebbe pronunciata a nome del papa in quanto pastore della Chiesa universale, ma a nome del Capo dello Stato del Vaticano, con l’effetto «di esonerare il pontefice dalle conseguenze di un processo dal quale, comunque vada, la Chiesa non uscirà più umile, ma più umiliata».

A tal proposito, proprio ieri il cardinale Angelo Becciu è stato condannato dal tribunale vaticano presieduto da Angelo Pignatone a una pena di 5 anni e mezzo di reclusione, interdizione perpetua dai pubblici uffici e una multa di 8000 euro. Indignatio regis mors est.

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Anche i vescovi di area tedesca non sono soddisfatti. Ha dato loro voce monsignor Erwin Kräutler, 84 anni, prelato emerito di Xingu in Brasile dicendosi deluso perché Francesco non ha accolto la proposta dell’ordinazione di uomini sposati e del diaconato per le donne: «Papa Francesco aveva dichiarato a noi vescovi prima del sinodo sull’Amazzonia di fargli proposte coraggiose. Ma alla fine non le ha accettate, il che mi ha davvero frustrato e deluso quando l’80% dei vescovi aveva votato a favore dei viri probati e del diaconato femminile». Al vegliardo non rimane allora che sperare in un nuovo concilio: «Ho vissuto il Concilio Vaticano II quando ero giovane. Fu una primavera per la Chiesa. Questa primavera è di nuovo necessaria». Anche la Chiesa ha i suoi nostalgici o, meglio ancora, i suoi «indietristi». Sono l’avanguardia di ieri, circa poi la «primavera» scaturita dal concilio la questione è forse più complessa, anche se a guardarsi intorno…

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