SANITÀ

Medici specializzandi, Cirio prova a forzare il blocco delle Università

Ancora troppo pochi i futuri specialisti nei Pronto Soccorso e nei reparti. Mancano i rinforzi per gli ospedali, ma gli atenei tendono a non lasciare andare i giovani camici bianchi. Entro febbraio un incontro con Geuna e Avanzi. Sul tavolo anche i corsi

Università dalle maglie ancora troppo strette rispetto alle esigenze della sanità, in primis quella di avere a disposizione più medici, ma anche infermieri. Difficoltà ad accedere agli atenei per il discusso numero chiuso, ma anche per gli scarsi posti messi a diposizione. Ma, non meno difficoltà anche per uscire dalle Università, come testimonia l’ancora troppo esiguo di specializzandi che rispondono alle richieste del sistema sanitario e vanno a lavorare negli ospedali.

Il bando pubblicato da Azienda Sanitaria Zero a luglio dello scorso anno e che resterà aperto fino al prossimo 22 agosto per l’affidamento di incarichi di lavoro autonomo a medici in specializzazione da impiegare nel settore dell’emergenza-urgenza non ha fino a ora dato l’esito sperato. Lo stesso impiego degli specializzandi che gli atenei mostrando forti resistenze hanno cercato, in parte riuscendovi, a limitarlo a 8 ore settimanali appare in questi casi poco più che un pannicello caldo. Ma sono proprio quelle briglie che le scuole di medicina degli atenei continuano a tenere corte sui laureati in corso di specializzazione che rappresenta l’ostacolo maggiore per l’attuazione di un piano su Governo e Regioni puntano molto per affrontare una situazione destinata a durare ancora a lungo. 

Di “un un accordo stralcio con le Università che consenta, in base al decreto Calabria, l’assunzione degli specializzandi, in attesa che arrivi a regime l’aumento dei posti disponibili nei percorsi accademici e per le scuole di specialità, attivato negli ultimi anni” avevano parlato nella conferenza stampa d’inizio anno il presidente della Regione Alberto Cirio e l’assessore alla Sanità Luigi Icardi, ad ulteriore conferma di come il nodo della questione stia in gran parte proprio negli atenei. 

E che al grattacielo ci sia la determinazione di scioglierlo in fretta, lo conferma il tavolo che lo stesso Cirio ha deciso di predisporre con i rettori dell’Università di TorinoFederico Geuna, e di quella del Piemonte Orientale, Gian Carlo Avanzi, nelle prossime settimane e comunque non oltre febbraio. Gli sherpa sono già al lavoro negli uffici della direzione regionale della Sanità e pure i contatti, peraltro già in corso da tempo, con entrambi gli atenei sono proprio mirati alla predisposizione di un accordo teso a uscire dall’attuale situazione di stallo. 

Paradossalmente risulta più semplice e rapido assumere un medico che arriva dal Veneto, come di recente capitato nel Cuneese, che non avere in ospedale uno specializzando che si è laureato in Piemonte. Una situazione complessa dove alla necessaria diplomazia nei rapporti con le scuole di medicina va unita una certa decisione e fermezza, proprio per poter applicare le norme, ma ancor prima per superare quel sistema di lacciuoli, non dichiarati ma assai concreti, che continuano a tenere i giovani medici legate alle cliniche universitarie e negando il loro apporto laddove è più richiesto. 

Da parte della Regione c’è l’intenzione di portare al tavolo con gli atenei anche la questione dei futuri camici bianchi e, dunque, i posti per i prossimi anni accademici. Mentre resta aperta, a livello nazionale con spinte opposte, la questione dell’abolizione o meno del numero chiuso – ipotesi bocciata senza titubanze da Geuna: “abolendolo, non sapremmo come formare questi studenti” – il problema delle borse di studio è tutt’altro che di facile soluzione e questa non pare possa passare semplicemente con un aumento dei posti. Prova nei sia le ultime iscrizioni che, in Piemonte, proprio per la specialità più richiesta qual è l’emergenza urgenza ci sono state 23 domande a fronte di 36 posizioni disponibili.

Se anche di questo si discuterà al tavolo che Cirio si prepara a convocare, la questione più impellente e, almeno in teoria, meno complicata da risolvere resta quella di convincere le scuole di specializzazione degli atenei piemontesi a tradurre finalmente in pratica la più volte annunciata disponibilità a favorire l’impiego degli specializzandi negli ospedali, sempre più a corto di medici e che ancora di più potranno esserlo con la prossima uscita dai Pronto Soccorso e da alcuni reparti dei camici bianchi delle cooperative. Una risposta attesa positivamente e, soprattutto, concretamente quella da parte delle Università che solo i numeri degli specializzandi che arriveranno in corsi nei prossimi mesi potrà confermare, fugando allo stesso tempo quei sospetti duri a morire che rimandano ai baronati. 

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