VERSO IL VOTO

Sconfitta d'Abruzzo e crollo M5s, addio al campo largo in Piemonte

Alla seconda prova l'alleanza giallorossa è un mezzo flop. Caricare il voto di significati politici nazionali non è bastato. Anzi. Il dato dei territori pare decisivo. Ora si apre la bagarre in Basilicata, mentre non decolla il fronte anti Cirio

Non basta il campo largo. E neppure quello larghissimo. Il responso del voto abruzzese è una doccia gelata per le forze politiche alternative alla destra. Mentre nella notte si profilava la vittoria di Marco Marsilio sul competitore di centrosinistra Luciano D’Amico, Pd e M5s iniziavano a interrogarsi sul che fare ora. Che la partita fosse complicata era chiaro già un mese fa, quando il distacco fra i due candidati era di circa venti punti percentuali. L’aver contenuto quel distacco è già un buon risultato, ragionano fonti parlamentari dem, frutto dell’unità raggiunta sul fronte delle opposizioni al governo di Giorgia Meloni e della scelta puntare su un esponente della società civile. A mancare è stata quella spinta in più che Elly Schlein ha cercato durante il tour che l’ha portata a percorrere la regione in lungo e in largo. Così come ha fatto anche Giuseppe Conte, d’altra parte. I due però si sono ben guardati dal farsi vedere assieme sullo stesso palco. Così come avevano fatto anche in Sardegna, prima dell’exploit, seppur di misura, di Alessandra Todde. In quell’occasione, la scelta ha premiato: Todde ha cercato di non prestare il fianco agli attacchi di quanti l’accusavano di essere una candidata imposta da Roma, frutto di trattative sul tavolo nazionale.

In Abruzzo, hanno avuto buon gioco gli attacchi partiti dalla destra verso una coalizione extra large (Pd, M5s, Azione e Avs) tenuta assieme più dalla necessità che dalla convinzione, una “finta” unità dietro la quale si celavano sospetti e aperte ostilità. Accuse alimentate anche dai botta e risposta a distanza fra Conte e Carlo Calenda. Oltre a questo, l’altro fattore di debolezza è la scarsità delle liste civiche nate a sostegno di D’Amico, formazioni che garantiscono presenza sui territori e, quindi, mobilitazione. Insomma, il fatto territoriale in un’elezione regionale appare ancora un elemento se non preponderante, decisivo. Una lezione da tenere a mente per le prossime competizioni in Basilicata e in Piemonte.

Elly & Giuseppi hanno puntato sul bis in Abruzzo del successo sardo in chiave politica, per affermare un’alleanza che, uscita dal “laboratorio” nell’isola, prefigurasse il fronte alternativo alla destra. “Mobilitatevi, fate una chiamata in più in queste ore per spingere questo progetto collettivo per il futuro dell’Abruzzo e dell’Italia – è stato l’ultimo appello dell’inquilina del Nazareno –. Se vinciamo pure in Abruzzo è una spallata al governo”. “Qui si può scrivere una pagina nuova e colpire il governo”, aveva aggiunto Conte. Ad urne ancora aperte, però, i dati dell’affluenza avevano fatto virare il barometro dell’umore da una cauta fiducia a una forte preoccupazione. Ci si aspettava una maggiore mobilitazione della costa abruzzese, da Teramo – quartier generale di D’Amico – a Pescara a Chieti. Invece, a crescere è solo il dato dell’affluenza dell’Aquila, roccaforte della destra.

Ora ci sarà da vedere quali saranno le reazioni dei singoli partiti della coalizione alla sconfitta. Anche perché' i dati scorporati raccontano di un Partito democratico che migliora sia rispetto alle precedenti regionali del 2019 sia rispetto alle politiche del 2022, passando dal 16 al 18.5 per cento. Al contrario, i Cinque Stelle vedono quasi dimezzare il proprio consenso, fermandosi al 7 per cento. Risultati che potrebbero avere un’immediata ricaduta sulla Basilicata, dove i partiti di opposizione giallorossa sono alla faticosa ricerca di un accordo sul candidato. Angelo Chiorazzo è il nome sostenuto dal Pd locale e anche dall'ex ministro della Salute, Roberto Speranza, ma che non piace al resto della coalizione. Anche per questo è iniziata una sorta di “moral suasion” degli alti dirigenti dem per portare il re delle coop bianche a ritirarsi. Passo indietro più volte annunciato e che, fino ad oggi, non è stato compiuto. A questo punto, i dati abruzzesi potrebbero aprire due scenari e le attenzioni dei dem si rivolgono ancora una volta verso il M5s: Conte, in virtù del risultato deludente del suo partito, si convincerà a lasciare la scelta del candidato ai dem? Oppure, al contrario, potrebbe rimettere in discussione l’intero progetto di coalizione?

Situazione, se possibile, ancor più complicata in Piemonte, dove mesi di tira e molla – tra fughe in avanti e brusche frenate, tavoli convocati e lasciati in sospeso, appelli e ripicche – non sono bastati a far uscire dal pantano la coalizione. Fino a qualche ore fa Pd e M5s sembravano più che propensi sarebbe meglio dire rassegnati a trovare un D’Amico e dar vita a un campo largo per cercare di togliere terreno al centrodestra di Alberto Cirio. Il nome non c’è, schema e perimetro dello schieramento neppure. E da stamattina pure il peso di una sconfitta.

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