SANITÀ

Il Piemonte frena le coop rosse.
Le équipe restano senza medici

Imposte rigide regole per le future aggregazioni. Porta chiusa ai sanitari forniti dalle cooperative. La Regione si mette di mezzo all'accordo tra Fimmg e Legacoop. Così in molte zone le Aft non potranno partire per carenza di personale

L’assalto alla diligenza da parte delle cooperative al nuovo sistema dei medici di famiglia resta un’ipotesi e per alcuni versi un non del tutto ingiustificato timore da Nord a Sud del Paese. La certezza è che il Piemonte, con la sua carenza di oltre 600 dottori, rappresenta una vasta prateria che la Regione, nel serrato confronto con i sindacati a loro volta su posizioni spesso opposte tra loro, ha però recintato con una serie di paletti, ben piantati lungo l’accordo siglato pochi giorni fa dalle sigle di rappresentanza della categoria e dal presidente Alberto Cirio

Un modello, quello delineato con molti punti fermi dalla direzione della Sanità retta da Antonino Sottile, che potrebbe essere seguito da altre Regioni chiamate ad attuare entro la fine dell’anno la riforma della medicina territoriale nella parte in cui si prevede la costituzione delle Aft, ovvero le aggregazioni funzionali territoriali che con gruppi di professionisti sostituiranno il classico studio del medico di famiglia, ampliando la copertura oraria del servizio.

Come abbiamo scritto ieri, un protocollo tra la Fimmg, il principale sindacato dei medici di base, e il colosso associativo Legacoop apre la strada alla costituzione di cooperative di medici che a loro volta costituiranno le Aft. Una strada che condurrebbe anche al possibile impiego di professionisti sempre forniti dal sistema cooperativo per coprire i posti mancanti nelle aggregazioni funzionali territoriali così come negli ospedali di comunità previsti dal Pnrr, non senza tralasciare uno stretto collegamento con la sanità integrativa, ovvero le assicurazioni e i fondi sanitari, settore che macina utili crescenti per le coop.

E di tracce di quel protocollo ne erano finite non poche sul tavolo al quarto piano del grattacielo della Regione nelle lunghe ore di discussione, con la Fimmg che premeva per la firma e le altre due sigle, Snami e Smi assai più caute che chiedevano ulteriori riflessioni. Tra le questioni su cui si è discusso a lungo e che hanno poi portato a sostanziali modifiche e ai paletti di cui si è detto prima, c’era l’apparente naturale rivendicazione da parte del principale sindacato dell’autonomia nell’organizzazione e gestione delle Aft. “Autonomia organizzativa” che si ritrova testualmente citata nel protocollo sottoscritto con Legacoop e che non è questione da poco. 

Nell’accordo sottoscritto con la Regione, questo aspetto in Piemonte ha preso una piega diversa da quella espressa nel patto nazionale tra Fimmg e il colosso (erede) delle coop rosse. Quanto pesi il fatto che a governare sia il centrodestra, già pronto al secondo quinquennio, non è dato sapere ma certamente il risultato finale è una pesante limata alle unghie al sistema cooperativo storicamente e palesemente del fronte opposto. Restando sul terreno tecnico, le note a margine di Sottile, poi tramutate in punti salienti dell’accordo, hanno di fatto riportato o mantenuto in mano pubblica tutta l’organizzazione e la gestione dei gruppi di medici di famiglia che il loro maggior sindacato avrebbe voluto, appunto, autonome. 

Cosa accadrà nel resto del Paese resta da vedere, ma in Piemonte – prima regione a siglare l’integrativo – una cosa è certa: nelle Aft cui si rivolgeranno i cittadini che oggi vanno nell’ambulatorio del medico di famiglia, non potranno lavorare gettonisti o comunque professionisti esterni forniti dalle cooperative. Questo anche nel caso in cui il numero di sanitari non raggiunga quello stabilito in base al bacino di popolazione. Proprio questa circostanza vede, infatti, una delle possibili applicazioni del protocollo Fimmg-Legacoop. E la carenza di oltre 600 professionisti lascia facilmente pensare che non saranno poche le aree del Piemonte dove non si raggiungerà il numero di medici previsti per le nuove strutture.

Ciononostante il muro agli “esterni” resta invalicabile: nelle Aft potranno operare solo i medici di medicina generale iscritti nell’elenco regionale. E laddove non si raggiunga il numero sufficiente per l’aggregazione, questa non ci sarà. E’ il costo da pagare per la linea dura, volta a impedire di trovarsi presto sul territorio come già ci si trova negli ospedali con personale esterno e costi sempre più elevati.  Ma la mano pubblica sul nuovo modello del medico di famiglia tocca anche altri punti, solo apparentemente, poco rilevanti. I turni dei medici di ciascuna Aft, che risponderanno alle chiamate degli assistiti dalle 8 del mattino alle 8 di sera coprendo un orario molto più ampio di quello attuale, non saranno stabiliti da loro, bensì dal distretto sanitario. Un altro paletto in quella che non sarà una prateria, ma che con la penuria di camici bianchi corre il rischio di diventare un deserto.

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