RIFORME

Autonomia, riprende la manfrina. Cirio: al Piemonte tutte le materie

Già nel 2019, appena eletto, aveva chiesto il massimo consentito: 23. Chiamparino si era fermato a 13. A Bussalino le deleghe sull'attuazione della legge Calderoli. Un percorso ancora lungo e incerto. Due anni solo per definire i Lep. Il nodo risorse

Il Doge ha pronto da tempo, avvolto nello stendardo di San Marco, il faldone con tutte le materie su cui è pronto a esercitare l’autonomia, ma il suo collega langhetto non è certo da meno. Col fiuto da cane da trifole che certo non gli difetta, Alberto Cirio cinque anni fa, non appena insediatosi sulla poltrona che ora lo accoglierà per un altro lustro, aveva annusato l’aria e rapidamente recuperato terreno rispetto a Luca Zaia e al suo Veneto, più ghiotto di autonomismo e indipendenza che di polenta e baccalà.

“Potenziare la nostra richiesta di autonomia era una dei primi impegni del nostro governo – diceva allora, nel 2019, Cirio fresco di elezione – e vogliamo affiancarci a Lombardia e Veneto nel rivendicare quel che ci spetta”. E quelle parole avevano accompagnato la richiesta da parte del Piemonte di tutte le 23 materie previste dalla norma. Richiesta che nella versione annacquata del suo predecessore Sergio Chiamparino si era fermata a 13, mostrando forse cautela, ma non certo quella aspra contrarietà che adesso la sinistra – la stessa che reclamava più autonomia con un altro governatore come quello dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini – esprime alzando barricate ed evocando scenari catastrofici dinanzi al testo di Roberto Calderoli, da pochissimi giorni divenuto legge.

A rileggere ora le parole di allora, sembra non siano passati cinque anni e una legislatura regionale che, partita lancia in resta proprio con il vessillo dell’autonomia a guidare le truppe di un centrodestra a preponderante trazione leghista poi è andata sbiadendo quell’impronta, per ridisegnarla oggi quando però non poche cose sono cambiate. “Il Piemonte ha fatto l’Italia e non abbiamo nessuna intenzione di disfarla”, avvertiva Cirio di fronte a polemiche e ostracismi, pur meno irruenti rispetto ad oggi. “Amiamo l’Italia e la sua bandiera”, ancora le parole che parevano rimbalzare un aulico presidente nel Risorgimento. Allora c’era la Lega, forte, fortissima in Regione con il suo 37 e pussa per cento. Ma non c’era ancora la legge, quella che oggi riceve critiche e respingimenti pure da governatori di centrodestra, che mettono il loro Sud e i rischi paventati, davanti alla ragion di alleanza. 

Un nome per tutti, Roberto Occhiuto, presidente della Calabria, ma anche vicesegretario i Forza Italia proprio come Cirio. “Nessuna divisione in Forza Italia – avvisa il governatore calabrese – però l’Autonomia non è un bell’affare per il centrodestra”. Pare non debba sforzarsi troppo per convincere la parte predominante, visto che Giorgia Meloni e i suoi hanno sempre tenuto il piede lontano dall’acceleratore, semmai più vicini al freno, con sguardo e volante dritti verso il ben più importante (per loro) premierato, merce di scambio tra alleati con l’Autonomia per la Lega e la riforma della giustizia cara agli azzurri.

Dunque, cinque anni fa come in questi giorni, i primi vagiti della giunta erano stati preceduti dallo sventolare del Drapò versione autonomista e i primi passi del consiglio regionale erano stati una corsa bersagliera, non senza qualche inciampo, verso la troppo magnificata commissione speciale, ovviamente, per l’Autonomia affidata al consigliere, leghista ovviamente, Riccardo Lanzo, figura sbiadita in fretta così come obiettivi e attività del succitato organismo. Certo è arrivato presto il Covid, ma la febbre autonomista è scesa più rapidamente del previsto in una regione dove ormai, sull’onda giorgiana, si capiva che il partito di Matteo Salvini avrebbe ceduto il passo, e di quanto poi, a quello della Meloni, notoriamente non quel che si dice fondato su ideali autonomisti e regionalisti. 

Al contrario del Veneto e della Lombardia, guidati per la seconda volta da presidenti della Lega, in Piemonte si andava a votare proprio nel pieno del dibattuto e dello scontro sul testo scritto da Roberto Calderoli, mentre il leader del partito puntava tutto su Roberto Vannacci, altro simbolo non propriamente lontano dal centralismo, per non misurare distanze da altro. Quanto abbia pesato, portando o facendo perdere voti in Piemonte, sta di fatto che la Lega non pare neppure l’ombra di quella del 2019. I Fratelli d’Italia si sono moltiplicati più dei criceti e, al centro a tirare i fili non poi così robusti dell’autonomia, c’è ancora lui Cirio, collega di Zaia, ma anche di Occhiuto (di quest’ultimo pure compagno di partito).

Nella spartingaia delle competenze quella più o meno apertamente riferita all’Autonomia e al suo lungo e complesso processo di attuazione andrà, insieme a deleghe sugli enti locali e territorio, a Enrico Bussalino, presidente della Provincia di Alessandria e uomo su cui Riccardo Molinari ha puntato nella sua provincia, prenotando per lui un posto sicuro in giunta. Sarà lui a dover seguire tutto ciò che origina da quella richiesta inviata, cinque anni fa, da Cirio al Governo, ma che ancora è difficile dire quale percorso reale avrà e, soprattutto i tempi. Perché se l’approvazione della legge è, indiscutibilmente, un successo politico per la Lega (soprattutto quella del Nord), sono proprio i tempi a lasciar supporre un altro periodo di affievolimento dell’attenzione e dell’utilizzo politico del tema. Anche nell’esordio e nelle fasi successive dell’azione della rinnovata maggioranza alla guida del Piemonte.

Due anni per fissare i Lep, i Livelli essenziali di prestazione, elemento cruciale della riforma. E poi le complesse procedure per il passaggio di attribuzione delle funzioni dallo Stato alle Regioni, senza tralasciare il punto altrettanto spinoso delle risorse, in un periodo in cui il Paese deve fare i conti con le rinnovate stringenti regole europee e le casse che piangono. Il tutto in un quadro politico dove la sinistra sembra aver dimenticato, o prova a farlo credere, che proprio la regione guidata da Bonaccini, con Elly Schlein sua vice fino al 2022, chiese sia al Governo Conte 2 sia a quello di Mario Draghi l’attuazione dell’autonomia rafforzata. Così come l’aveva chiesta, in Piemonte, Chiamparino pur tenendo il braccino corto e fermandosi a 13 materie, rispetto a tutte le 23 che Cirio, appena arrivato, avrebbe chiesto mettendosi al passo con Veneto e Lombardia. Allora l’azionista di maggioranza era la Lega, che domani sera alla festa di Fubine festeggerà invitando tutti a portare un Drapò da sventolare mentre Molinari ribadirà come quella del voto della legge-simbolo sia stata “una giornata storica”, fors’anche di liberazione da una storia lunga e tormentata come quella che ne ha segnato il percorso. Ma, da adesso in poi, la strada del Tour (de force) caro alla Lega è ancora lunga e si vedrà, proprio nella nuova maggioranza al governo del Piemonte, quanto in discesa e sgombra da ostacoli. Sull’ammiraglia, c’è sempre lui, il governatore langhetto che non si è fatto superare neppure dal Doge. 

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