Gambe, mani e testa al #cambiamento

Un nuovo straordinario ciclo politico è iniziato l’8 dicembre 2013, pochi mesi fa, quando il Pd vinse la sua sfida contro l’antipolitica. Ora si tratta di tradurre questa spinta vincendo conservazione e populismi con la forza del riformismo

“Sta in noi”, era solito ripeterci l’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. E la sua lapidaria riflessione giungeva a noi italiani in momenti sì di tensione e di difficoltà, ma neppure paragonabili a quelli della grande crisi degli ultimi anni.  Il suo è comunque ancora oggi un ammonimento molto importante da tenere a mente, soprattutto quando occorra un’assunzione di responsabilità collettiva.  Lo è perciò certamente in questi giorni e lo sarà particolarmente domenica, con il voto, quando competerà a noi elettori scegliere la classe dirigente che guiderà un epocale processo di cambiamento, fondamentale per il futuro del Paese. E contemporaneamente sempre a noi elettori spetterà di definire la direzione in cui quella classe dirigente ci debba portare, scegliendo concretamente il futuro del Paese. Per noi e per i nostri figli. In vista di questa straordinaria opportunità e responsabilità, che in questa occasione spetta tutta a noi elettori, proverò allora a definirne quelli che mi sembrano i tratti essenziali.

Un nuovo straordinario ciclo di cambiamento è possibile: l’8 dicembre 2013, pochi mesi fa, Il Pd vinse la sua sfida contro l’antipolitica: le primarie raggiunsero il traguardo dei 3 milioni di votanti. Un dato inaspettato che rafforzò il trionfo di Matteo Renzi, che raggiunse il 68%, lasciando Cuperlo al 17,9, poco distante da Civati al 14. Quel giorno, su ogni altro elemento uno prevalse di gran lunga. Gli italiani hanno deciso di cambiare verso, di imprimere una svolta radicale al Paese, ma in direzione costruttiva. La svolta promessa e legittimata dalle primarie, nel frattempo è iniziata: come ricorda lo stesso Renzi,  con misure di sostegno al ceto medio come gli 80 euro mensili, con la diminuzione del 10% dell’Irap per le aziende, con un decreto occupazione che ha consentito di salvare migliaia di posti di lavoro a cominciare da Electrolux, con un investimento senza precedenti sulle scuole con circa diecimila cantieri che partiranno nella pausa estiva.

Dall’agricoltura al volontariato, dalla cultura alla pubblica amministrazione, dal fisco alla giustizia i progetti del Governo sono pronti, nel rispetto dei tempi previsti. E le riforme istituzionali e costituzionali stanno marciando: legge elettorale approvata alla Camera, testo base del Senato adottato in commissione, riforma delle province conclusa. Non è un caso che il prossimo 25 maggio non voteremo più per le province. Migliaia di politici in meno, grazie all'azione del Pd. E l'elenco potrebbe continuare. Mi pare evidente insomma: la stragrande maggioranza degli elettori del Pd, che era nato proprio per questo, a dicembre ha legittimato una svolta; con l’assunzione della presidenza del Consiglio dei Ministri da parte del nuovo segretario del Pd,  Matteo Renzi, quella svolta è concretamente ed operativamente iniziata. Ora dobbiamo proseguire, confermando da un lato il supporto a quella scelta coraggiosa dell’8 dicembre, che sta iniziando a produrre cambiamenti che abbiamo invocato per anni, e discriminando dall’altro, dove ci compete, tra conservatori, populisti e riformisti. Facendoci carico di scegliere.

I populisti caratterizzano da sempre i sistemi politici. La loro peculiarità sta nell’effettuare una corretta analisi delle degenerazioni del sistema, ma di non proporre nessuna credibile misura per porvi rimedio. Sono abilissimi nell’inscenare processi, individuare colpevoli ed attaccarli con tutta la veemenza consentita. Le loro vittorie assicurano lunghe fasi di tensione sociale e nessuna reale prospettiva di un futuro migliore per le nuove generazioni. Domenica saranno rappresentati principalmente dagli #‎amicigufi e dal loro capo, Beppe Grillo. I conservatori. Ai fini che qui interessano, basta ricordare che i conservatori sono semplicemente coloro che avversano il cambiamento, magari chiarendo che le riforme da fare sarebbero ben altre rispetto a quelle proposte, e che sono ben presenti in tutti i partiti e gli schieramenti politici. Stanno in una destra oggi apparentemente debole come a sinistra. In particolare, a sinistra, sono stati sconfitti proprio nelle primarie dell’8 dicembre 2013, ma i superstiti, come nei gruppi parlamentari del PD, in alcuni casi non si risparmiano per ostacolare il ciclo delle riforme avviato dal Governo. Il loro obiettivo principale è infatti di tutelare interessi costituiti, opponendosi quindi fieramente ad ogni riforma che possa andare contro gli interessi propri e dei gruppi che sostengono di rappresentare.

I riformisti, infine, partono dalle stesse analisi dei populisti, ma non per individuar colpevoli (o perlomeno non prioritariamente) ma per individuare soluzioni che, guarda caso, si concretizzano in riforme. Il loro è sen’altro il lavoro più duro e meno popolare, perché implica grande serietà di approccio, la rinuncia a coltivare interessi elettoralistici di breve periodo, e risultati che si conseguono spesso nel medio-lungo periodo.

Ora è evidente che in questa schematizzazione analitica, la principale contrapposizione di schieramento è oggi tra il populismo sterile ed inquietante di Beppe Grillo e il riformismo determinato e radicale del Partito Democratico di Matteo Renzi. In questa contrapposizione, coloro che hanno creduto nella prospettiva di cambiamento rappresentata da Renzi, domenica dovranno ribadire la propria posizione e convincere quante più persone possibile a votare coerentemente. Per dare forza ad una prospettiva costruttiva contrapposta ad una solo distruttiva.

Più sottile, forse, la scelta della prospettiva di riforma rispetto a quella di conservazione. Qui non si tratta solo di scelte di schieramento: anche all’interno degli schieramenti, i protagonisti delle campagne elettorali cercano di dissimulare spesso la loro natura conservatrice e gli assetti di potere di cui sono rappresentanti. Mentre il Pd renziano a livello nazionale è oggi saldamente ancorato dal suo leader nel campo riformista, e rappresenta tale approccio, ai livelli territoriali l’elettore ha domenica anche l’onere di scegliere nelle liste i candidati genuinamente riformisti. Coloro che, come Renzi e il suo nuovo gruppo dirigente nazionale, realmente vogliono il cambiamento e sono attrezzati per sostenerlo. Basta informarsi. Anche nel Pd, ad esempio, è noto chi ha sempre sostenuto posizioni conservatrici, risultando battuto nelle primarie di dicembre 2013, rispetto a chi è invece portatore, magari da lungo tempo, di quelle riformiste. Dobbiamo informarci, discriminare utilizzando le preferenze e scegliere i secondi senza esitazione. E non dobbiamo lasciare ad una minoranza di elettori, su cui cercano di mantenere la presa le burocrazie di partito, una scelta così importante.

Nell’ultimo anno ho avuto l’onere di coordinare i comitati a sostegno della sfida renziana nella provincia di Alessandria. Applicando le analisi che ho sinteticamente riportato sopra, nella mia provincia voterò il Pd in tutte le elezioni (europee, regionali e comunali), perché, al di là del mio ruolo di dirigente politico, ritengo che in questa fase sia l’unico vero motore potenziale delle riforme, l’unica speranza di un futuro in cui si eviti il disastro. Sceglierò inoltre in ciascuna lista in cui mi sia dato di assegnare un voto di preferenza i candidati riformisti. Lo ritengo tra l’altro un dovere nei confronti di mia figlia e delle nuove generazioni. “Sta in noi”, ci ha molte volte ricordato il Presidente Ciampi. Qui ritorniamo: sta in noi essere coerenti, sta in noi sostenere il cambiamento, sta in noi sostenere le persone in grado di produrlo. Domenica 25 è importante che ciascuno di noi elettori si assuma la responsabilità di sostenere il cambiamento. Non lamentiamoci della casta e dell’Italia che non va se domenica non avremo la maturità di scegliere il PD del cambiamento e, nelle liste, gli uomini che possono davvero incarnarlo.

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