Pd, e la Ditta non c’è più

Siamo di fronte ad una leadership energica, forte, volitiva e determinata ma non è ancora ben chiara la prospettiva politica. Ovvero la meta del partito. Il suo progetto. L'unica cosa sicura è che non è più quello che era sino all'avvento di Matteo Renzi

Sarà che il Pd è un partito ancora troppo “plurale”; sarà che la leadership di Renzi è troppo veloce e compulsiva per un partito ancora troppo “pesante” come il Pd; sarà che la minoranza di sinistra aspetta il segretario sempre al varco. Resta il fatto, inconfutabile però, che il Pd continua ad essere tormentato al suo interno sulla prospettiva politica che persegue. E cioè, un partito di centrosinistra; un partito di centro o un raggruppamento di centrodestra che attraverso la sua natura di “soggetto pigliatutto” punta a raccogliere consensi a destra e a manca e quindi a posizionarsi come autentico ed affidabile “partito della nazione”? Il quesito, ormai evidenziato da quasi tutti gli osservatori e commentatori politici, l’ha posto anche in questi giorni il comico Roberto Benigni che, con la sua consueta lucidità, ha detto che “l’Italia oggi ha un nocchiero, è forte, ma non sappiamo dive ci porterà”.
 
Ecco, il nodo è tutto qui. Siamo di fronte ad una leadership energica, forte, volitiva e determinata ma non è ancora ben chiara la prospettiva politica. Ovvero la meta del partito. Il suo progetto. L’unica cosa sicura è che il Pd non è più il partito che era sino all’avvento di Matteo Renzi. E questo non perché le gag di Crozza ormai hanno contagiato larghi settori dell’elettorato del Pd e della pubblica opinione italiana. Ma per la semplice ragione che il progetto politico, culturale e programmatico di Renzi e del renzismo ha superato definitivamente il recinto ideale in cui nuotava quel Pd. Per intendersi, il Pd che aveva inaugurato la sua stagione di rinnovamento e di cambiamento con Veltroni e che era finito tristemente con la “ditta” di bersaniana memoria.
 
Ora, non si tratta di rincorrere e giudicare ossessivamente la quotidianità. Anche se è spiacevole, per alcuni, o contraddittoria, per altri. Mi riferisco, nello specifico, all’accordo con Verdini e compagnia o con settori di centro o di destra come Alfano e compagnia restante. Il nodo politico di fondo, come si suol dire, è quello di comprendere, senza trasformarlo in una via crucis interminabile, se il Pd resta un partito dichiaratamente di centrosinistra o se, al contrario, punta decisamente a consolidare il profilo di partito “pigliatutto”, stabilmente al centro del sistema politico, avverso ad ogni sorta di radicalizzazione politica e che punta ad intercettare un consenso sempre più orfano e disorientato dopo lo sfaldamento di Forza Italia e lo sgretolamento dello schieramento di centro destra.
 
Ecco, il bivio è tutto qui. Ed è inutile, credo, limitarsi a rimpiangere il passato o, peggio ancora, condurre una battaglia quotidiana criticando l’avvicinamento di Tizio o di Caio e poi conviverci per non rompere le uova nel paniere. Insomma, il tipico e ormai patetico atteggiamento di Bersani che minaccia sfracelli al mattino, li ammorbidisce al pomeriggio e poi li cancella alla sera annunciando l'ormai fatidico e ridicolo “mai e poi mai la scissione”.
 
Se c’è un tema, al di là delle chiacchiere di circostanza o dei goffi referendum da condurre nei circoli su alcuni temi specifici, che meriterebbe di essere approfondito seriamente e senza pregiudizi ideologici e senza rancori personali dalla base del partito, sarebbe appunto questo. E cioè, il Pd resta ancora un partito di centrosinistra e riformista o è destinato, per svariati e comprensibili motivi, a diventare un “partito pigliatutto”, o della “Nazione” che dir si voglia? Sarebbe un confronto finalmente politico e alla luce del sole. Molto meglio di condurre una guerriglia quotidiana che rischia solo di creare malumori, rancori e disorientamento.

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