PENTASTELLATI

M5s, “due anni di frustrazioni e errori”

Il capogruppo al Comune di Torino Vittorio Bertola auspica un cambio di passo in un movimento vittima di personalismi e invidie. Dalle intemperanze della deputata Castelli alle denunce della collega Bechis. E nella base monta il malessere

«Due anni di frustrazioni e di errori» a cui gli attivisti del Movimento 5 stelle hanno «assistito impotenti». Una via crucis per chi, come Vittorio Bertola, capogruppo pentastellato al Comune di Torino, tra i fondatori del Movimento nel capoluogo piemontese, dalla periferia dell’impero assiste alla “trasformazione” di un soggetto “che non si capisce cosa sia e soprattutto dove intende andare”. Lo scrive sui social network, l’ultimo post è di poche ore fa per commentare la manifestazione lanciata da Beppe Grillo al Circo Massimo di Roma, con tanto di coda polemica con il sindaco della Capitale che non intende concedere lo spazio. Ma Bertola non è che il termometro del malessere che serpeggia all’interno dell’armata brancaleone grillina.

 

Torino è stata tra i primi grandi comuni a eleggere due consiglieri M5s, poi l’ondata si è estesa in tutta la Regione al punto da far immaginare a militanti ed elettori quel sorpasso ai danni del Pd che non solo non è mai avvenuto ma anzi è stato bloccato appena messa la freccia. E così il Movimento è finito avviluppato in una spirale di personalismi e invidie conditi spesso da insulti e accuse reciproche. Per sedare la pasionaria subalpina Laura Castelli, che nelle ultime ore se l’è presa un po’ con tutti sia pubblicamente (stigmatizzando le dichiarazioni di Di Battista sulla politica estera), sia nella chat privata dei parlamentari a Cinque Stelle, Casaleggio e Grillo sono stati costretti a imporre il silenzio stampa. Sul territorio un’altra parlamentare per caso, la “portinaia” Eleonora Bechis, ha addirittura denunciato un eletto nella Circoscrizione VI, il capogruppo Paolo Tkalez per una serie di accuse che le aveva rivolto nei mesi scorsi, e finora non ha manifestato nessuna intenzione di ritirare la querela nonostante le pressioni del gruppo parlamentare. E questi sono solo due esempi dello stato di continua fibrillazione nel quale versa il Movimento.

 

Nella base emerge per la prima volta una certa “stanchezza”. Alcuni militanti si allontanano lamentando il mancato coinvolgimento dei territori rispetto alle scelte che vengono fatte a Roma. Secondo Bertola, tra i pochi che ha l’ardire di parlare liberamente, «il problema è che deputati e senatori eletti non hanno mai fatto davvero i portavoce, anzi hanno sfruttato la loro posizione per  imporsi come nuova leadership», un processo ancor più grave se si pensa che proprio perché semplici portavoce «non abbiamo spedito a Roma i migliori, non è stato il famigerato curriculum la discriminante, bensì le primarie on line, passando dalla rivendicazione della meritocrazia al trionfo dell'uomo comune». Così in Piemonte sono in tanti a individuare nel correntone capeggiato da Davide Bono e la già citata Castelli il simbolo della degenerazione cui sta andando incontro il M5s. E’ il gruppo dei filogovernativi, i detrattori lo definiscono degli “staffisti”, perché sorto attorno al gruppo regionale che in questi anni ha trovato lavoro a tanti di coloro che successivamente sono diventati parlamentari (leggi Castelli, Marco Scibona e Ivan Della Valle) e ora consiglieri regionali (Giorgio Bertola e Francesca Frediani): tutti a libro paga di Bono che ora controlla un gruppo organizzato, l’unico capace di veicolare consenso e preferenze sui vari candidati, gestendo quasi militarmente il movimento a Torino e nelle altre province. Egemoni tra le mura domestiche, goffi e impacciati all’esterno del Movimento come testimonia il risultato ottenuto alle ultime Regionali quando i 5 Stelle sono stati superati anche dalla claudicante coalizione di centrodestra formata da Forza Italia e Lega.

 

L’altro Bertola, Vittorio, rappresenta, invece, un riferimento per quell’area molto più variegata ed eterea dei disillusi, quella componente magmatica e decisamente meno omogenea e organizzata di quelli che non si riconoscono nel grillismo, pur rivendicando l’appartenenza al Movimento 5 stelle, inteso come quello degli albori. Nel mezzo c’è un’altra esponente di grande carisma, come la consigliera torinese Chiara Appendino, compagna di banco di Bertola, la Giovanna d’Arco dei pentastellati secondo la definizione che ne diede in aula uno stizzito Piero Fassino al termine di un intervento particolarmente puntuto. Negli anni ha saputo crearsi una rete di amicizie molto solida nel Movimento e pur non essendo organica al correntone di Bono su di lei il candidato presidente in Regione vorrebbe puntare per la probabile sfida contro Fassino alle elezioni comunali del 2016. In questo scenario si inseriscono altre competizioni, a partire da quella per il Consiglio metropolitano, dove i grillini dovrebbero riuscire a eleggere due dei 18 componenti di cui sarà formato il nuovo organismo. Bono punta sul chivassese Marco Marocco, Bertola sta valutando un suo impegno in prima persona, Appendino nicchia ma non pare interessata.