VERSO IL 2019

Europee con nuove regole, senza preferenze per i big

Liste bloccate e sbarramento al 5%. Ampia convergenza tra le forze politiche per cambiare la legge elettorale. Un sistema che premia la fedeltà e penalizza i piccoli partiti. E con il pallino in mano alle segreterie c'è chi teme (Bresso) e chi spera (Cirio)

Nell’attesa di cambiare l’Europa, cambieranno il sistema di voto per le Europee. Non è nel contratto di governo, ma la modifica della legge elettorale per il Parlamento Strasburgo è nell’agenda congiunta di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, con una riga tirata sulla parola preferenze.

L’accordo tra Lega e M5S per eliminare la scelta dell’elettore del o dei candidati passando alle liste bloccate c’è già, come pure ci sarebbe l’assai probabile via libera sia di Forza Italia sia del Partito Democratico a quello che è facile spiegare come un adeguamento da parte dell’Italia ai sistemi in uso in gran parte dell’Unione Europea: in Francia, così come in Germania, in Spagna e in molte altre nazioni compresa la Ungheria di Viktor Orban tanto cara a Salvini, le preferenze non sono contemplate per le elezioni europee.

Lo schema cui lavorano i due partiti al Governo prevede il mantenimento dell’attuale sistema proporzionale puro con cui vengono attribuiti i 73 seggi assegnati all’Italia, a sua volta suddivisa in 5 circoscrizioni. Nel 2009 il Parlamento italiano aveva introdotto la soglia di sbarramento del 4%, in base alla quale i partiti che a livello nazionale non raggiungono tale limite non entrano nell’Europarlamento. Un’altra modifica è stata, prevista dal 2014 riguarda le quote rosa: in caso in cui vengano espresse tre preferenze per candidati dello stesso sesso, la terza preferenza sarà annullata, imponendo nel caso delle tre preferenze l’assegnazione di una per un candidato di sesso diverso dagli altri due.

Due innovazioni che, nel caso assai probabile dell’entrata in vigore della nuova legge prima delle consultazioni dell’anno prossimo, saranno cancellate: quella delle quote rose, ovviamente, per l’abolizione delle preferenze (forse mantenendo un equilibrio di genere nella stesura delle liste), quella della soglia del 4% perché sia Salvini, sia Di Maio hanno in mente di innalzarla al massimo consentito dall’Europa, ovvero al 5%.

Misura quest’ultima che certo non troverà d’accordo Fratelli d’Italia come del resto Liberi e Uguali destinati a rimanere senza rappresentanti a Bruxelles. Un nodo che potrebbe indurre Salvini a qualche riflessione in più per non incrinare il rapporto con Giorgia Meloni, soprattutto in vista delle concomitanti elezioni regionali.

Le conseguenze, trasversali nei vari partiti, in caso di modifica della legge elettorale non sarebbero poche, né di poco conto. Passare da grandi collettori di preferenze a uomini e donne indicate dai vertici delle forze politiche piace e rassicura innanzitutto i Cinquestelle, da sempre debolissimi sul piano territoriale e in fatto di voti personali, che potrebbero ancora una volta puntare sul simbolo garantendo candidature blindate contro ogni ipotesi di migrazione verso altri gruppi. Discorso che vale anche per la Lega che Salvini è pronto a far viaggiare verso l’Europa puntando su un messaggio sovranista, con in più spazi per sistemare eventuali esclusi dal Parlamento nazionale o giocare con cambi e subentri candidando eletti alla Camera o al Senato nel proporzionale.

Di nomi, per la circoscrizione Nord-Ovest che oltre al Piemonte comprende Lombardia, Liguria e Valle d’Aosta e assegna venti seggi, ne circolano pochi. Qualcuno più in bilico di altri tra gli attuali, come nel caso della lombarda Lara Comi di cui si dice Silvio Berlusconi non straveda, per usare un eufemismo o, sull’altro versante e per motivi diversi l’ex presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso. Due legislature europee, 74 anni ottimamente portati, ma forse entrambe le cose potrebbero pesare sulle scelte del Pd nel caso di addio alle preferenze.

Ancora quando la modifica del sistema di voto è un’eventualità pare che al Nazareno continuino a salire le quotazioni come capolista “nazionale” per il Nord-Ovest dell’ex ministro della Difesa, attuale senatrice, Roberta Pinotti.

Nello schema di ripartizione regionale per la Lombardia, sempre in casa dem, si dà per assai probabile l’attuale assessore comunale alle politiche sociali di Milano, Pierfrancesco Majorino. Chi guarda con un certo interesse a come (e se) muteranno le regole del gioco è l’altro piddino piemontese oggi a Bruxelles, ovvero Daniele Viotti, che secondo alcuni, a mali estremi, potrebbe virare verso la Regione. 

Della forzista in Europa, per l’Italia nord-occidentale fa parte anche il papabile candidato alla presidenza della Regione Alberto Cirio.

La sua intenzione di correre per prendere il posto di Sergio Chiamparino, in caso di vittoria del centrodestra, è nota da tempo. La decisione ufficiale di Arcore, ancora non c’è. E chissà che un profilarsi della certezza di un cambio di sistema elettorale e la garanzia di un ritorno sicuro a Strasburgo non possano cambiare, tra i tanti progetti e ambizioni, anche quelli in casa azzurra legati al Piemonte.  

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