POLITICA & GIUSTIZIA

Rimborsopoli sotto elezioni, Cirio: "Nessuna spesa illecita"

Si avvia alle battute finali l'indagine sugli scontrini dell'era Bresso. Tra i 50 consiglieri indagati c'è chi sceglie di patteggiare e risarcire. L'europarlamentare, aspirante governatore del centrodestra, consegna ai pm una memoria e punta all'archiviazione

I primi a maramaldeggiare sono stati, al solito, i grillini. “Noi scegliamo i rappresentati con il voto dei militanti, gli altri lo fanno nelle segreterie di partito, noi ci tagliamo lo stipendio, loro hanno un potenziale candidato invischiato in Rimborsopoli”: così ha esordito sabato scorso Giorgio Bertola, aspirante governatore M5s. Il riferimento è, ovviamente, ad Alberto Cirio, l’europarlamentare di Forza Italia, presidente in pectore del centrodestra, finito nelle maglie della cosiddetta “Rimborsopoli bis”, l’inchiesta che riguarda l’ultimo scorcio della VIII legislatura, tra giugno 2008 e maggio 2010, regnate la Zarina del Pd, al secolo Mercedes Bresso. Una grana per il politico albese che attende da mesi l’incoronazione ufficiale da parte di una coalizione che alle crescenti fibrillazioni tra (ex) alleati aggiunge il timore di partire con un cavallo azzoppato, la cui corsa ancor prima di concludersi, nella peggiore delle ipotesi, prematuramente, può finire sotto attacco della propaganda. Già, perché al netto del giustizialismo chiodato dei Cinquestelle il problema c’è, inutile negarlo. Del resto lo stesso “garantista” Sergio Chiamparino quattro anni fa si è fatto mezza campagna elettorale sulle mutande verdi di Roberto Cota. Insomma, nel centrodestra la questione è aperta.

Vediamo i fatti. La procura di Torino, nel corso di un’inchiesta della Guardia di finanza, contesta a Cirio presunti rimborsi illeciti per spese pari a circa 25mila euro, utilizzati soprattutto in ristoranti e comunicazione. Ieri il suo difensore, l’avvocato Luigi Giuliano, associato dello studio Chiusano-Chiappero, ha consegnato al sostituto procuratore Giovanni Caspani una memoria in cui contesta punto per punto le accuse a partire dall’analisi degli scontrini, contestualizzati in base all’agenda degli impegni di Cirio nel Consiglio regionale e nelle commissioni.

L’inchiesta, alle battute finali (l’arrivo del famigerato 415 bis è imminente), potrebbe entrare nel clou in piena campagna elettorale per le elezioni regionali. Molto dipenderà anche dal deposito delle motivazioni della sentenza della Corte d’appello, quella con cui molti ex consiglieri della legislatura 2010-2014 sono stati condannati nonostante l’assoluzione avvenuta nel 2016: la scadenza è a fine ottobre, ma i giudici potrebbero chiedere una proroga breve. Dopo una sentenza molto dura, quel testo potrebbe facilitare il lavoro dell’accusa, che però avrebbe altre difficoltà: a distanza di così tanti anni dai fatti, dimostrare la fondatezza delle prove è più complesso. Mentre alcuni dei 50 indagati hanno scelto di patteggiare (al momento sarebbero cinque) e di risarcire cifra contestata aumentata del 30%, la difesa di Cirio confida nell’archiviazione del procedimento nei suoi confronti.

In caso contrario, se Cirio dovesse essere il candidato del centrodestra e lui dovesse vincere, potrebbe rischiare il processo, cui non potrebbe sottarsi confidando nella prescrizione, giacché per il reato di peculato scatta soltanto dodici anni e mezzo dopo la sua commissione: in questo caso, la tagliola scatterebbe per alcuni episodi nel 2020, ma per altri nel 2022 inoltrato. L’aspetto più preoccupante, sempre in termini ipotetici, è quello che potrebbe accadere se - una volta eletto - Cirio fosse condannato. La legge Severino prevede infatti la sospensione dalla carica per 18 mesi di chi abbia riportato una condanna non definitiva per una serie di reati, tra cui il peculato. È un po’ quello che successe al governatore campano Vincenzo De Luca: condannato in primo grado per abuso d’ufficio a un anno di reclusione, per effetto della legge Severino venne sollevato dall’incarico salvo poi essere “salvato” dal tribunale civile di Napoli, che “sospese” a sua volta la sospensione.

Questo intreccio di leggi e ipotesi anima il confronto interno al centrodestra, anche se quella giudiziaria potrebbe essere un’arma a doppio taglio: il segretario piemontese della Lega, Riccardo Molinari, è stato condannato a undici mesi di reclusione (pena sospesa) dalla Corte d’appello proprio nel processo “Rimborsopoli”, mentre sul sottosegretario del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, Edoardo Rixi, pende una richiesta di condanna da parte della procura di Genova a tre anni e quattro mesi di reclusione per le “Spese pazze” della Liguria. Insomma, mal comune mezzo gaudio.

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