VERSO IL 2019

Lo spettro di Tondo su Forza Italia

I berluscones temono di finire rosolati come è successo ai colleghi del Friuli che all'ultimo hanno dovuto cedere la candidatura alla Lega. Il Carroccio fa il pieno di voti ma ha un deficit di classe dirigente. Le mosse dei tre partner della coalizione

Quello che a molti è apparso un errore, per tempo e luogo, in cui è inciampato (si direbbe scientemente) Antonio Tajani annunciando - peraltro con scarsa ridondanza - nella piazza SìTav di Forza Italia sabato scorso a Torino la candidatura alla presidenza della Regione di Alberto Cirio, è stato ancor più gravemente letto dai vertici nazionali di Lega e Fratelli d’Italia come una sorta di affronto, di sgarbo istituzionale si direbbe se la questione non fosse meramente tra partiti, assai poco giustificabile da un’eccessivamente entusiastica galoppata in avanti del presidente del Parlamento Europeo.

L’irritazione, che riferiscono Matteo Salvini non abbia affatto celato ai suoi, non solo avvalora la tesi circa l’assai poco o per nulla utile (re)incoronazione provvisoria dell’europarlamentare di Alba, ma contribuisce a disegnare con tratti sempre meno precisi e definitivi il quadro del centrodestra per le regionali piemontesi della prossima primavera.

Il Capitano, come i militanti leghisti chiamano il loro leader, ha ribadito ancora l’altra sera in un’intervista televisiva che per la Regioni “valgono gli accordi presi” e quindi nessuna opa sul Piemonte da parte sua. Tuttavia, da qui a vedere l’azionista ormai di minoranza accelerare in maniera un po’ scomposta e parecchio frettolosa ce ne passa. In più, c’è da mettere nel conto l’altro contraente il patto di alleanza, quei meloniani che stanno sempre più stretti nei panni dei fratelli minori e che, anche nella regione che tra meno di un anno andrà al voto, potrebbero addirittura sperare di lasciare quel ruolo proprio a Forza Italia.

Se, come pare, si concretizzerà il fronte sovranista cui sta lavorando Giorgia Meloni e che in Piemonte ha in nel fittiano (già berlusconiano) Roberto Rosso uno dei possibili partner, insieme ad altri che potranno arrivare (magari anche dall’Udc), per FdI in cui torna ad emergere con una certa forza l’ex parlamentare Agostino Ghiglia e che ha affidato il partito regionale al navigato Fabrizio Comba (già berlusconiano, un passato nel cda di Unicredit e da un paio d’anni console onorario della Bielorussia), la prospettiva non è affatto detto sia quella dei gregari, sia pure di rango. In più di un modo lo hanno già fatto capire.

La tenuta dell’alleanza non è in discussione, tanto più con l’allontanarsi anche del più sbiadito spettro di un asse similgovernativo viste quel che accade tra Lega e M5s su più fronti (dalla questione inceneritori al voto di ieri sera a Montecitorio sull’anticorruzione, solo per citarne un paio). Semmai appare non del tutto chiusa la questione dei pesi e della stessa candidatura, al netto delle dichiarazioni di Salvini, a otto mesi dal voto.

Un centrodestra che parte ampiamente favorito rispetto al centrosinistra, ma che presenta quasi bizzarre caratteristiche: c’è una Lega carica di voti, ma ormai pressochè sguarnita di uomini di punta, una sorta di esercito a corto di generali e pure di colonnelli e poi c’è, al contrario, un partito di Berlusconi che abbonda di ufficiali (anche della riserva) ma cui i sondaggi attribuiscono sempre meno consensi, tanto da allettare i Fratelli d’Italia all’idea di un sorpasso.

Quanto tutto ciò potrà pesare nelle valutazioni e finali, spinte oculatamente sempre più avanti facendo rosolare gli azzurri, di Salvini? La sua irritazione di questi giorni di fronte alla piazza azzurra a favore della Tav e, implicitamente, contro il Governo di cui ormai è azionista di maggioranza non pare contribuire a fugare i dubbi.

Le stesse secchiate d’acqua gettate sul fuoco dal capogruppo alla Camera e plenipotenziario in Piemonte Riccardo Molinari, servono eccome, ma nessuno sa quanto potrebbero bastare nel caso il Capitano decidesse, sempre alla fine, in maniera diversa.

Allo scacciato incubo di un’alleanza gialloverde, per i forzisti potrebbe sostituirsi quello del caso Tondo. Il berlusconiano Renzo Tondo era il candidato alla presidenza del Friuli-Venezia Giulia fino meno di una settimana dal termine per la presentazione delle liste.

Sembrava fatta, ma non lo era. Il partito della Meloni lamentò di essere stato messo di fronte a cose fatte (lo stesso rischio che paventano in Piemonte), scoppiò un putiferio e Salvini, colto tutt’altro che di sorpresa, mise al governo della Regione Massimiliano Fedriga, un suo fedelissimo. “Noi manteniamo gli impegni, facciamo parte di una squadra”, aveva detto ai militanti di un circolo della provincia di Udine, quando pure loro pensavano di dover votare il candidato di Forza Italia. Senza doversi turare il naso, ma storcendolo un po’. 

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