VERSO IL 2019

Legge elettorale, tempo scaduto

Alle elezioni regionali del prossimo anno si voterà con le attuali norme, senza doppia preferenza di genere e con il famigerato listino. Caduto nel vuoto l'ultimo appello di Chiamparino. Boeti: "Una sconfitta politica". Portas: "Puro autolesionismo"

“Una sconfitta per la politica”. L’epitaffio che il presidente del Consiglio regionale Nino Boeti, scrive sulla pietra tombale della mai nata nuova legge elettorale per il Piemonte, se non un vero e proprio atto di accusa (che pure ci starebbe tutto) è certamente l’attribuzione della chiara responsabilità in capo ai partiti, ad incominciare dal Pd. Anzi, soprattutto il Pd.

Quella riforma del sistema elettorale, tanto invocata, in verità piaceva a pochi e preoccupava tanti. Non c’è voluto molto per comprenderlo, davanti alle manfrine e alle mille dichiarazioni di intenti che non sono riuscite a nascondere il pesante velo di ipocrisia di cui erano ammantate.

Una sconfitta per la politica, come dice Boeti, ma anche una sconfitta per Sergio Chiamparino: i suoi ripetuti appelli per fare ciò che egli stesso aveva posto tra le priorità all’inizio della legislatura sono stati raccolti a parole, ma lasciati cadere nei fatti. Dai banchi del Partito Democratico, anziché arrivare una risposta decisa e chiara all’imput del governatore, è stato un susseguirsi di ostacoli assai male dissimulati per ottenere ciò che oggi il presidente del consiglio sintetizza in due parole: “tempo scaduto”. Non ci sono più i tempi tecnici: anche nell’ipotesi di approvare, per assurdo, un nuovo testo in questi giorni e avviare la procedura con la prefettura non ce la si farebbe.

Cancellare il listino, era il punto cruciale. Una soluzione tutto sommato semplice, con la redistribuzione della quota maggioritaria su base provinciale. Anche qui, tutti d’accordo a parole, poi al momento di passare ai fatti la strada si disseminava di intoppi. Ancora una volta, soprattutto dal partito di maggioranza, mentre le opposizioni, Forza Italia e Lega si erano dette disponbili. Rivedere i collegi: idem.

E quando sfrondando dalle modifiche più complicate si era arrivati a chiedere solo la doppia preferenza di genere, con una proposta presentata dai consiglieri di LeU (prima firmataria Silvana Accossato), sostenuta da alcune consigliere dem e dalla capogruppo della Lega Gianna Gancia, nonché dalla Consulta regionale per le Pari opportunità presieduta dalla piddina Maria Peano, il gattopardo si è messo il distintivo: tutti ad attaccarsi al bavero l’adesivo a sostegno della modifica del voto che avrebbe previsto l’obbligo, in caso di due preferenze, di indicare un uomo e una donna. Fatta qualche foto, poi chi aveva remato contro fino ad allora, ha continuato a farlo.

Ulteriori proposte di legge con l’intento dichiarato di fare una sintesi (anche se poi la realtà aveva raccontato ulteriori intoppi e complicazioni) come spiegò il capogruppo dem Domenico Ravetti presentando la sua, ma in realtà era al calendario che si guardava: più passavano i giorni, più si scongiurava il rischio di doverla, davvero, cambiare la legge.

“Io ci ho provato”, dice un amareggiato Boeti che da quando era subentrato a Mauro Laus (un altro convinto sostenitore della doppia preferenza di genere) alla presidenza del Consiglio aveva cercato di serrare i ranghi e bruciare i tempi. “Ho fatto il mio dovere, dando l’impulso anche sulla scorta del disegno di legge che prevedeva solo la doppia preferenza di genere”, tutto inutile.

“I vari disegni di legge sono stati incardinati in commissione poi però – osserva il presidente dell’assemblea di Palazzo Lascaris – la commissione non se ne è più occupata. La verità è che non c’era l’interesse dei partiti. Adesso, ormai siamo fuori tempo massimo. Il capitolo si può considerare chiuso”.

Un capitolo di una storia che il leader dei Moderati, Giacomo “Mimmo” Portas, non esita a definire “vergognosa”.  Il deputato, alleato storico del Pd, “arrabbiatissimo”, non nasconde il suo “profondo stupore davanti al fatto che Chiamparino, il quale ha più volte ribadito come fosse indispensabile dotare il Piemonte di una nuova legge elettorale, non sia riuscito a imporsi. Il risultato è puro autolesionismo”. Effettivamente non può che apparire a dir poco strano il fatto che Chiamparino non abbia posto un aut aut al gruppo dem: o si approva la legge che ho promesso, oppure non mi candido. Probabilmente, di fronte a questo muso duro che non c’è stato, la soluzione si sarebbe trovata. Invece le cose sono andate diversamente e questa di oggi, piaccia o meno, è la realtà dei fatti.

A nulla è servito avere in Piemonte, come ricorda Boeti, “una tradizione volta alla parità di genere, organismi improntati in tale senso”. Ancora una volta i fatti, ovvero la volontà dei partiti incominciando da buona parte dei consiglieri di quello di maggioranza preoccupati per la loro rielezione, hanno “negato la traduzione più importante di quella parità, ovvero la scelta nel voto”.

Le stesse farraginosità e lentezze dell’iter per approvare un nuovo testo, si sarebbero potute ridurre in maniera considerevole: “c’era la possibilità di votare la norma in commissione in sede legislativa, senza andare in aula – osserva ancora il presidente del Consiglio regionale –. A mancare è stata la volontà”.

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