VERSO IL VOTO

Centrodestra, la trimurti stoppa Giachino e Vignale

Schieramento classico, con solo i tre partiti e nessuna lista civica o di scopo. La Lega non vuole "riesumare" la vicenda Tav: "Faremmo solo un favore a Chiamparino". E Piemonte nel cuore "non allarga il campo, ma cannibalizza la coalizione"

“Quando ci vediamo per definire il piano di attacco?”. L’sms che Fabrizio Comba, coordinatore regionale di Fratelli d’Italia ha spedito ai suoi due omologhi, Riccardo Molinari per la Lega e Paolo Zangrillo per Forza Italia, pare non aver ancora ottenuto risposta. Ma questo non va letto come qualcosa che indichi intoppi o qualche tensione, aldilà del fisiologico, nella riconfermata coalizione per il ritorno del Piemonte nelle mani del centrodestra. Piuttosto sembra essere un qualcosa di molto simile a quel “non c’è fretta” ripetuto per settimane da Matteo Salvini quando i berluscones, oggi tranquillizzati dall’ottenuta candidatura di Alberto Cirio, premevano per quella decisione che pareva non arrivasse mai e si temeva che potesse riservare uno sgambetto del Carroccio che invece non c’è stato.

Se, quindi, non pare profilarsi a breve un incontro tra i vertici dei tre partiti, altrettanto non può dirsi dello schema per quell’attacco il cui piano è sollecitato dal proconsole di Giorgia Meloni in Piemonte: tutto lascia supporre che sarà il classico tridente. Forse, e qui sta la novità, senza che nel centrodestra classico pur con pesi mutati al suo interno, spunti neppure l’ombra di un rebbio di una forchetta. Insomma, il forcone a tre punte potrebbe infilzare quelle liste civiche o di scopo, guardate con crescente sospetto quando non apertamente osteggiate dalle tre forze politiche.

È noto e non da oggi, per esempio, che la trasmutazione in formazione elettorale dell’impegno sul fronte a favore della Torino-Lione dell’azzurro Mino Giachino, dopo il successo delle piazze non sia mai risultato granché digeribile proprio al suo partito. Tanto più dopo l’ostentato feeling con Salvini che i luogotenenti locali ridimensionano parecchio. Un link, quello con il leader della Lega, che non preserverebbe l’ex sottosegretario ai trasporti ai tempi di Silvio Berlusconi e la sua lista da una messa all’angolo: “Avere una lista Sì Tav nella coalizione suonerebbe come l’ammissione che la questione sia ancora aperta, mentre Salvini ha detto chiaramente che si fa e i bandi sono partiti”, osserva un esponente di spicco del Carroccio, malcelando quella chiusura nei confronti della lista del madaMino “che, paradossalmente, potrebbe finire con il fare il gioco di Chiamparino, mettendo sul tavolo elettorale un tema che per noi è ormai risolto”.

Di certo in suo aiuto non correranno i Fratelli d’Italia, che già non paiono intenzionati a muovere un dito per un’altra lista in bilico, ovvero quella del Piemonte nel cuore del consigliere uscente Gian Luca Vignale. Anche in questo caso la trimurti potrebbe calare sui sovranisti di provenienza aennina rispetto ai quali l’atteggiamento dell’azionista di maggioranza della coalizione si è raffreddato parecchio, pur non essendo mai stato in verità così caloroso. Ad abbassare la temperatura a livelli polari avrebbero contribuito alcuni screzi in riva al Tanaro, terra alessandrina che accomuna il plenipotenziario del Capitano in Piemonte e l’ex consigliere Marco Botta, oggi tra i candidati della formazione di Vignale. E persino la ventilata (dallo stesso Giachino) alleanza tra Sì Tav, Sì Lavoro e la formazione di Vignale sarebbe in grado di strappare il via libera da parte della coalizione.

Strada in salita pure per l’Udc, per la quale non sarebbero certo disposti a stringersi nelle liste né i leghisti, tantomeno i seguaci della Meloni, lasciando l’eventuale adempimento del patto a chi lo ha sottoscritto con Lorenzo Cesa, ovvero Forza Italia: se vorranno, gli azzurri, potranno offrire ospitalità agli uomini dello scudocrociato, anche se difficilmente laddove alcuni di questi, tra cui il coordinatore regionale Giovanni Barosini, ambirebbero sistemarsi, ovvero nel listino del presidente. Che tale sembra rimanere solo di nome.

La voce ricorrente in queste ore, successive all’ufficializzazione della candidatura ad avversario di Sergio Chiamparino dell’europarlamentare di Alba, indica in una soluzione leghista di stampo bulgaro quella per i dieci che i caso di vittoria della coalizione otterranno un seggio a Palazzo Lascaris senza aver dovuto prendere una sola preferenza. Il Carroccio pare ne voglia 8 per sé, lasciando assai poco margine a Cirio per compensare gli altri due partiti. Così come pare esclusa anche la presenza di una lista espressione diretta del candidato presidente. Di questo, ancor prima dello spinoso problema della composizione della coalizione, discuteranno i tre segretari regionali. Anche se corre voce dell’intenzione della Lega di anteporre a quella riunione trilaterale un faccia faccia proprio con Cirio, giusto per far capire chi realmente comanda.

Non è detto che non sia l’occasione per il vertice piemontese del Carroccio per chiarire ulteriormente il proprio pensiero sulle formazioni civiche e di sostegno: un approccio laico, non prevenuto, ma con alcuni punti fermi. Uno di questi: valutare con attenzione il reale valore aggiunto portato da queste liste all’alleanza evitando pericolose cannibalizzazioni dell’elettorato. Con un occhio vigile sui conti che si faranno alla chiusura dei seggi e ponendosi in anticipo una domanda: vale davvero la pena rischiare di cedere qualche seggio con i resti a queste liste, quando agli elettori basta l’offerta della coalizione nel più classico e tradizionale degli schemi? Il tridente è pronto per il piano d’attacco. Ma, se serve, anche per infilzare chi vorrebbe aumentare il numero dei rebbi.

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