QUATTRO RUOTE

C'è ancora l'auto nel futuro di Torino

Al centenario dell'Amma Elkann assicura: "Partiti i lavori per la produzione della 500 elettrica". Primi modelli tra meno di un anno. E Marsiaj si appella al governo: "Serve un piano per essere competitivi"

Il futuro dell’ex capitale dell’auto? L’auto. L’industria delle quattro ruote continuerà a essere un pilastro dell’economia di Torino e questa, in assenza di alternative, non può che essere una buona notizia. Il presidente di Fca John Elkann ne è certo: “Credo che il sistema dell’auto a Torino abbia le carte per giocare un ruolo attivo e positivo per il futuro di questo settore e delle nostre comunità, a condizione che abbracci senza paure o riserve le sfide dell’innovazione con la prospettiva e il coraggio di chi guarda lontano”. E per fortuna non c’è da guardare troppo lontano per vedere l’avvio della produzione della nuova 500 elettrica a Mirafiori: “Sono stati avviati i lavori per installare la linea” annuncia Elkann. I primi modelli vedranno la luce nei primi mesi del 2020. “La prima generazione della 500 elettrica l’abbiamo lanciata sette anni fa, in California, e oggi è tra le vetture elettriche più vendute degli Stati Uniti – prosegue il presidente di Fca –. La Pacifica ibrida è stata il primo minivan elettrico del settore, continua a ricevere premi come migliore motore elettrico ed è anche la quarta vettura ibrida plug-in più venduta degli Stati Uniti. Questa è l’esperienza che useremo, qui in Italia, per produrre le vetture ecologiche previste nel nostro piano industriale, che vedrà oltre 5 miliardi di investimenti ed è centrato proprio sui veicoli puramente elettrici e sugli ibridi plug-in”.

Lo afferma nel suo intervento durante l’assemblea per i cento anni dell’Amma, l’associazione delle imprese metal meccaniche di Torino, convocata al Salone dell’Auto. In prima fila Elkann, assieme al presidente di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro. “Oggi più che mai siamo fermamente convinti che una rivoluzione tecnologica abbia senso se va a beneficio non solo dello sviluppo industriale ma anche della società nel suo insieme” ha aggiunto Elkann. A favore di Torino, ha proseguito, ci sono anche la scuola di imprenditorialità creata dalla Fondazione Agnelli e da altri sei partner locali, l’Italian Tech Week, che vedrà la luce tra poco più di un mese e che “ha come obiettivo di avvicinare i giovani, e non solo, alla tecnologia, perché possano migliorare il loro mondo con strumenti nuovi e utili”.

Ma perché un settore così complesso, nel pieno di una transizione ricca d’incognite, possa diventare un volano industriale per l’Italia è necessaria anche la mano pubblica. “Al governo non chiediamo regali” dice Marsiaj, presidente dell’Amma, che invoca “un piano dell’auto” perché “non bastano gli investimenti delle aziende, il territorio in cui operiamo deve essere attrattivo. Noi diamo lavoro a 1,2 milioni di persone compreso l’indotto”.

L’Amma nasce il 14 aprile 1919, quando il conflitto sociale infiamma il biennio rosso e le aziende sentono il bisogno di dotarsi di un’associazione strutturata per portare avanti le proprie istanze. Negli anni del regime, pur essendo soggetta alla normalizzazione fascista, l’Amma riesce a ritagliarsi uno spazio al riparo dall’influenza del governo, soprattutto grazie alle mostre specializzate, che dopo la guerra riprenderanno la forma di Saloni della Tecnica e dell’Auto. Dal 1945 la vera emergenza è però la ricostruzione: Torino è ferita dai bombardamenti e l’associazione si impegna nel Piano Marshall per la modernizzazione degli impianti produttivi. La nascita della Comunità economica europea apre all’industria italiana una dimensione inedita di libero scambio, di quasi 200 milioni di persone. Sono gli anni dello sviluppo internazionale dell’Amma e dell'impegno nella formazione di tecnici specializzati.

Tra gli anni Sessanta e Settanta la fabbrica diventa nuovamente terreno di scontro, questa volta con un’inedita saldatura tra movimento operaio e studentesco. Una tensione che culminerà, negli anni di piombo, con il ferimento del futuro presidente dell’Amma, Aldo Ravaioli, per mano delle Brigate rosse. La Marcia dei 40mila e la fine della vertenza Fiat, nel 1980, mettono il punto a un malessere sociale che ha caratterizzato l’intero decennio precedente. Non sarà però l’ultimo: il secondo shock petrolifero nel 1980-84 e le crisi del 2008 e 2012 mettono ancora a dura prova il settore metalmeccanico. Una prova a cui l’Amma risponde gestendo la trasformazione delle relazioni sindacali anche in momenti difficili, come la rottura con la Fiom sul contratto nazionale e l’uscita della Fiat dall’associazione. Il contratto collettivo del 2016 ricompone l’unità sindacale e realizza un'ambizione ancor più grande: la nascita di un patto per la fabbrica, il cui fine è il bene dell'azienda e di chi vi lavora. Un risultato per cui l'Amma ha profuso grande impegno, coinvolgendo il sindacato anche nella revisione dell'inquadramento professionale, per adeguarlo all'industria del futuro, sempre più automatizzata e interconnessa. “Siamo più competitivi se viviamo in un Paese competitivo e questo non succede. I politici devono continuare a lavorare per la competitività delle aziende – conclude Marsiaj –.  Solo pensando al futuro possiamo trovare la coesione necessaria per vincere le sfide. Ci vuole un piano d’azione, condivisione di intenti. La mia è una chiamata all’azione”.

print_icon