VERSO IL VOTO

Ognun per sé, Cirio per tutti

Nessuna chiusura unitaria della campagna elettorale del centrodestra piemontese. La Lega ospita il candidato governatore, ma neppure lo annuncia sui manifesti. Attesa per Berlusconi a Chiomonte. E i Fratelli terminano con una festa in discoteca

La coalizione c’è, ma non si vede. O meglio, non lo si vedrà il centrodestra plasticamente unito attorno e a sostegno del suo candidato alla presidenza della Regione, come la più classica delle chiusure di campagna elettorale avrebbe lasciato intendere e forse suggerito. Così un Alberto Cirio, uno e trino, raggiungerà giovedì a Novi Ligure l’azionista di maggioranza leghista rappresentato al suo massimo livello con Matteo Salvini, insieme al segretario regionale nonché capogruppo alla Camera Riccardo Molinari. Lo stesso giorno in tarda mattinata a Torino se sarà confermata la visita di Silvio Berlusconi al cantiere della Tav di Chiomonte o al più tardi nel pomeriggio l’aspirante governatore, europarlamentare uscente di Forza Italia, concluderà a lunga marcia elettorale con il suo partito, per rinviare al giorno successivo nella cornice discotecara del Patio la fine del tour de force con i Fratelli d’Italia.

Tre momenti distinti che raccontano più che in altre circostanze simili se non analoghe come in Piemonte l’alleanza mostri anche e soprattutto nel finale della campagna elettorale un ognun per sé che, a sua volta, racconta l’aria che tira tra i partiti della coalizione e all’interno di ciascuno di essi.

Senza cercare la pagliuzza, dalla pubblicità allestita dal Carroccio per la serata nella città della Pernigotti che la Lega cerca di strappare col suo candidato sindaco al dominio storico e mai interrotto della sinistra, salta fuori con le dimensioni di una trave l’assenza del nome, per non dire del volto, proprio del candidato governatore. Lo stesso che mai una volta è stato insieme a Salvini nei suoi bagni di folla in Piemonte e che forse mai è stato citato dal leader della Lega nei suoi comizi. Troppo ridurre queste dimenticanze a ingenue leggerezze.

Forse più opportuno ricordare quel che ancora l’altro ieri nel corso della sua visita a un imprenditore del Canavese, Giancarlo Giorgetti è tornato a spiegare con la penna intinta nel curaro. Il Gianni Letta della Lega, tralasciando un po’ l’aplomb, ha ricordato come il suo candidato ideale non fosse quello poi consacrato dal patto tra Salvini e Berlusconi. Pleonastico fare il nome dell’imprenditore Paolo Damilano, oggetto dello scouting di Giorgetti e poi di ostacoli anche piemontesi all’interno del Carroccio. Non superfluo, per il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ricordare che “forse Matteo, sul Piemonte, è stato fin troppo generoso con Forza Italia”.

I nervi, tra quelli che una volta si chiamavano lumbard, sono sempre più tesi: c’è il clima pesante delle inchieste in Lombardia, la pressione che da quella regione e dal Veneto di Luca Zaia permane e cresce sull’autonomia ferma al palo, c’è l’immagine delle motovedette che sbarcano i migranti mentre Salvini ripete che i porti sono chiusi, c’è quel rosario e quelle invocazioni alla Madonna che infastidiscono non solo buona parte del mondo cattolico, e poi ci sono quei sondaggi che è facile supporre raccontino come tutto questo non possa che entrare, nel bene e nel male, nelle intenzioni di voto di chi un’intenzione granitica ancora non ce l’ha o non ce l’ha più.

Percentuali non se ne possono più citare, ma nei piani alti del Carroccio l’equivalenza tra una cifra al di sotto del 30 per cento con la débâcle in Piemonte è presto fatta. Difficile dire, ma forse non escludere, quanto nel malaugurato (per il centrodestra) caso di sconfitta verrebbe caricato sulle spalle di un candidato governatore che non si è risparmiato nel suo battere in lungo e in largo la regione, con il suo partito in stato catatonico e un alleato forte che fin dall’inizio ha fatto pesare la sua predominanza, ma non altrettanto un supporto evidente, come ci si sarebbe attesi, per l’uomo che dovrebbe guidare il governo frutto di quell’alleanza.

In fondo Salvini l’idea di sperimentare la rottura con il partito di Berlusconi in Piemonte, costruendo un nuovo schema di centrodestra con FdI, l’ha accarezzata per un po’, come l’interminabile attesa per l’investitura di Cirio (e non di meno il tentativo di Giorgetti di spingere su Damilano) conferma. All’epoca il Capitano poteva contare su più voti e un vento assai più favorevole rispetto a quello che spira oggi e che non a caso ha indotto egli stesso proprio ieri, con il controcanto del sottosegretario Edoardo Rixi, a tornare a premere sul sì alla Tav sia in funzione di scontro con i Cinquestelle, ma non di meno per provare a sminuire uno dei punti di forza di Sergio Chiamparino.

Strategie e aggiustamenti che lasciano intendere difficoltà impensabili fino a poche settimane fa. Ma niente di così straniante rispetto a quell’immagine attesa e negata di una coalizione stretta attorno al suo candidato, costretto invece a far visita, lui, ai partiti per la conclusione della campagna elettorale. Perfino in Abruzzo dove l’alleanza era stata in forse fino all’ultimo, tormentata la scelta del candidato e la distanza tra il Cav e il Capitano platealmente marcata da quest’ultimo al tavolo della conferenza stampa, il centrodestra era parso visibilmente più unito nel sostenere il suo uomo indicato alla presidenza.

È pur vero che domenica non si andrà ai seggi solo per la Regione e il voto europeo impone quell’ognun per sé, ma resta il dubbio se sia solo questa la ragione dell’assenza di una conclusione della campagna elettorale unitaria e non con il candidato presidente nella veste di itinerante ospite. D’onore, ma pur sempre ospite. In un caso (basta leggere i comunicati della Lega sull'evento di Novi), neppure annunciato. 

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