POLITICA & GIUSTIZIA

Caso Pasquaretta, Appendino indagata

Avviso di garanzia alla sindaca di Torino per la consulenza assegnata al suo ex portavoce per l'edizione 2017 del Salone del Libro. Oltre a lei coinvolti anche l'ex vicepresidente della Fondazione Montalcini e il grand commis di Palazzo Civico, Ferrari

“Per trasparenza nei confronti dei cittadini vorrei rendere noto che ho ricevuto un avviso di garanzia” sulla “consulenza affidata dalla Fondazione per il Libro al mio ex capo ufficio stampa per un valore di 5mila euro lordi e che lui già restituì a suo tempo”. È la stessa Chiara Appendino ad annunciarlo su facebook in tarda serata di essere indagata per concorso in peculato sulla consulenza assegnata a Luca Pasquaretta, suo ex portavoce, per l'edizione del 2017. Un incarico per affiancare sulla comunicazione il presidente Massimo Bray, un modo secondo l’accusa di incrementare surrettiziamente lo stipendio dello stretto collaboratore della sindaca grillina. L’inchiesta è condotta dai pm Enrica Gabetta e Gianfranco Colace e già vede iscritti nel registro degli indagati l’allora vicepresidente Mario Montalcini, Giuseppe Ferrari, direttore del Comune di Torino, all’epoca dei fatti segretario generale della Fondazione, e lo stesso Pasquaretta, beneficiario della somma, peraltro restituita nel momento in cui la bufera iniziò a infuriare su Palazzo Civico. Pasquaretta è indagato anche per una presunta estorsione ai danni di Appendino: avrebbe chiesto un posto di lavoro minacciandola di rivelare segreti di cui era venuto a conoscenza con il suo incarico di allora.

Una consulenza della quale Appendino dice di essere stata all’oscuro: “Quando alcuni mesi prima dello svolgimento del Salone del Libro, circolò sui giornali questa ipotesi, risposi in aula a una interpellanza dichiarando che non era assolutamente intenzione dell’amministrazione procedere in tal senso – ricostruisce sui social la sindaca -. Nonostante questa posizione, quella consulenza venne comunque affidata dalla Fondazione. Secondo la ricostruzione dei pm, questa consulenza non fu poi svolta dall’interessato e, per questo, viene ipotizzato il peculato. Nel mio caso si ipotizza il concorso nello stesso reato perché secondo i pm la consulenza sarebbe stata affidata e pagata con il mio accordo”. Una versione che stride con quanto la stessa Appendino il 7 maggio 2018 ha dichiarato in Sala Rossa, difendendo la regolarità della procedura: “Il 16 maggio 2017 gli uffici del Comune hanno autorizzato la consulenza dopo aver appurato che non ci fossero conflitti d’interesse – disse allora durante il question time in Consiglio comunale – . Ho appreso anch’io sui giornali che oggi sono stati acquisiti gli atti: ovviamente abbiamo massimo rispetto per le indagini in corso”. Un incarico che lei stessa sempre davanti ai consiglieri comunali aveva escluso: “Non ci sarà nessun contratto”, disse il 20 febbraio 2017 in risposta a chi le chiedeva conto delle indiscrezioni di stampa. Poi, come si è visto, la cosa è andata diversamente. Davvero “pitbull” – come veniva chiamato dalla stessa sindaca per via dei modi un tantino spicci del soggetto – ha fatto tutto senza informare la Appendino? Gli inquirenti non ci credono. Una cosa pare però lampante, oggi, che la prima cittadina abbia scaricato il suo ex collaboratore: “Spetterà a lui difendersi e eventualmente ai giudici stabilire chi ha ragione”.

La sindaca annuncia che in settimana sarà ascoltata dai pubblici ministeri, i quali evidentemente, non credono a una versione dei fatti che la vedrebbe estranea alla vicenda. Appendino, comunque si dice “serena”; per lei si tratta del terzo procedimento giudiziario in cui si trova coinvolta, oltre a quello per disastro, lesioni e omicidio colposo in cui è imputata dopo i fatti di piazza San Carlo, e quello per falso in bilancio relativo alla vicenda Ream.

print_icon