PROFONDO ROSSO

Comune di Torino, debito monstre: 300 milioni verso i mille fornitori

Si allungano i tempi di pagamento delle fatture. In difficoltà piccole e medie aziende che forniscono materiali e prestazioni. Forte esposizione anche verso le partecipate, a partire da Iren. Irrilevante, per ora, l'aiuto del Governo

Da una parte c’è un debito, quello finanziario, che continua a ridursi costantemente, frutto delle rate che il Comune di Torino versa regolarmente alle banche e che oggi si attesta di poco sotto i 3 miliardi. Dall’altro c’è quello commerciale e rappresenta l’esposizione che Palazzo Civico ha nei confronti dei tanti fornitori di materiali, beni e servizi. Quest’ultimo, negli ultimi due anni, è cresciuto di 50 milioni di euro. Un dato preoccupante che dimostra come per tenere sotto controllo i flussi di cassa, in una situazione decisamente precaria, l’amministrazione abbia di fatto chiuso i rubinetti, incrementando il tempo di pagamento delle fatture e mettendo in difficoltà le tante piccole e medie aziende o cooperative che forniscono prestazioni a vario titolo. Nel 2016 i debiti commerciali di Torino ammontavano a 248 milioni di euro, le aziende in attesa del saldo delle fatture erano 932. Oggi l’esposizione è salita a 299 milioni e il numero di imprese creditrici è a 1.161. Questi dati sono pubblicati nella sezione “Amministrazione trasparente” del portale istituzionale del Comune, dove invece non sono presenti i debiti del 2017 (GUARDA).

Ma questa è solo una parte delle pendenze. Ai quasi 300 milioni di debiti commerciali certificati al 31 dicembre dello scorso anno, bisogna aggiungere quelli nei confronti delle aziende partecipate e oggetto di piani di rientro. Torino, infatti, deve a Iren circa 230 milioni (le fatture scadute ammontano a circa 160 milioni). Per placare le rimostranze del cda e soprattutto dare risposta alle pressioni dei soci emiliani, l'estate scorsa Chiara Appendino ha sottoscritto un piano di rientro che costringerà la sindaca a staccare ogni anno un assegno da 16,7 milioni fino al pagamento di tutto l'arretrato. 

Basta questo dato a evidenziare tutte le difficoltà della prima cittadina a rimettere in sesto un bilancio che assomiglia a un colabrodo. Come in quelle case col tetto diroccato durante un acquazzone, la sindaca prova a mettere una pezza qua, una là, ma alla fine continua a pioverle in testa. È questa la situazione che si trova quotidianamente ad affrontare, mentre per evitare la bancarotta prova a mettere sul mercato tutto ciò che è vendibile, dalle quote azionarie delle partecipate agli immobili, con un piano di dismissioni vastissimo - e in continua integrazione come dimostra il caso della scuola Principe Vittorio Emanuele - da quasi 80 milioni di euro.

Oltre a un debito elevato, Appendino al suo insediamento, ha trovato un disavanzo strutturale, certificato dalla Corte dei Conti, di 80 milioni che lei si è presa l’impegno di azzerare nel quinquennio. Tagli di spesa e maggiori entrate sono le uniche due strade percorribili, ma per evitare un'azione shock sui conti ha deciso di mitigare le sforbiciate ai conti utilizzando gli introiti ottenuti dalla cessione di quote Iren. 

Anche l'atteso aiuto del Governo avrà l'effetto di un palliativo su un malato (quasi) terminale. Il Decreto Crescita, infatti, consentirà ai Comuni in difficoltà di usufruire delle risorse derivanti da eventuali avanzi sull'operazione Salva Roma: si parla di pochi milioni di euro, 4 o 5 massimo, previsti nel 2020, mentre la vicina Alessandria, con un emendamento ad hoc voluto dal capogruppo leghista a Montecitorio Riccardo Molinari, incasserà 20 milioni in due anni. Altro sintomo dei mutati rapporti di forza dopo le urne, un altro brutto segnale per la sindaca grillina e per i torinesi. 

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