TRAVAGLI DEMOCRATICI

Furia si attacca alla corrente

Il segretario del Pd piemontese chiama alle armi i compagni "zingarettosi" per respingere gli attacchi provenienti da più parti. Riunione domenica al circolo delle Vallette. "Non ci sto a continuare a prendere sberle". Chiesti tre posti nella segreteria di Torino

“Non ci sto”. Quando Oscar Luigi Scalfaro dal Quirinale pronunciò a reti unificate quella frase, l’attuale segretario del Pd piemontese Paolo Furia aveva appena sei anni e la politica di allora è giurassica rispetto a quella di oggi. Però ci sono parole senza tempo, che lo attraversano facendo resistere l’incontenibile reazione personale al mutare della mutevolissima politica. Così il “non ci sto” che il segretario dem ripete nella chat degli zingarettiani torinesi a cui si rivolge chiamandoli alle armi – in una guerra non ortodossa per un segretario che dovrebbe incarnare l’invocata (proprio da Nicola Zingaretti) unità del partito – evidenzia ora come allora una non nascondibile quanto nervosamente piccata reazione.

“Se il presupposto è il solito secondo il quale il rinnovamento sono sempre gli altri, io non ci sto” avverte Furia. “E non ci sto – ripete – neanche a prendere sberle da giorni da un sistema mediatico locale evidentemente quasi tutto rimasto ai tempi di Renzi, per ogni genere di questione compresa la inesistente ipotesi di un piano per riacchiappare tutti i provinciali alla luce della vicenda di Alessandria”.

Uno sfogo, ma non solo. C’è infatti di più sotto il profilo politico in quel messaggio che Furia ha trasmesso agli zingarettiani – definiti non si sa se per errore nel digitare o per vezzo “zingarettosi” – ovvero a quelli della sua componente di riferimento, dopo la settimana più difficile del suo breve e già tormentato mandato, incominciato alla fine dell’anno scorso.

Ad Alessandria è arrivata la richiesta delle dimissioni del segretario Fabio Scarsi, renziano, giachettiano all’ultimo congresso dove Roberto Giachetti e Anna Ascani hanno avuto proprio in terra madrogna uno dei migliori risultati del Piemonte, superando nel voto degli iscritti lo stesso Zingaretti. Una istanza avanzata con forza da parte del capogruppo in Consiglio regionale Domenico Ravetti e dal tesoriere regionale Daniele Borioli, che aveva presto travalicato i confini tirando in ballo, in un durissimo gioco di accuse reciproche e di reciproche chiamate di responsabilità della sconfitta elettorale lo stesso Furia.

Lui, ieri sera, insieme a Ravetti ha discusso con Scarsi della questione alla Festa dell’Unità di Novi Ligure e alla fine la posizione perentoria dell’area Zingaretti nel chiedere la testa del numero uno alessandrino si è ammorbidita non poco. Tregua (armata) di dieci giorni, tempo che Scarsi occuperà per proporre un documento teso a mantenere l’unità, ma anche – leggendo tra le righe – evitare una conta che dopo le reazione arrivate anche con forza da parlamentari come Silvia Fregolent e in maniera più diplomatica e sotterranea da Davide Gariglio, sarebbe apparsa rischiosa per chi aveva invocato l’azzeramento del vertice dem alessandrino.

L’eventualità di veder trascinare nella discussione del caso Alessandria anche il partito regionale è, ancor oggi, più di un’ipotesi: la promessa di chi ha visto nel tentativo di far fuori Scarsi quella strategia di conquista di tutto il Piemonte da parte della componente Zingaretti, tesi peraltro che Furia continua a negare.

Non nega, però, anzi afferma con decisione che “è arrivato il tempo di convocare gli zingarettosi e rappresentare il rinnovamento che esiste”. Ecco il punto cruciale del messaggio: il segretario regionale – con il suo cursus politico nella natìa Biella, fautore dell’unità del partito e del superamento delle correnti così come da proclama dell’inquilino del Nazareno – chiama a raccolta una corrente, la sua, perché “è arrivato il momento di smetterla di tergiversare, non più mesi per condurre accordi che poi comunque sono ripagati con queste monete, non più immagine di essere puri figli di corrente mentre i giovani fichi, forti e in gamba sono sempre altri”.

Nelle stesse ore, a dispetto del mantra con cui la sinistra dem ripete di non essere in cerca di poltrone, la coppia parlamentare Anna Rossomando e Andrea Giorgis (chiamato da Zingaretti in segreteria nazionale a occuparsi di riforme istituzionali) incontra il segretario torinese Mimmo Carretta e gli chiede tre posti per riequilibrare la segreteria metropolitana dopo i mutati rapporti di forza emersi dal congresso nazionale. Rossomando ha pronto il nome di Daniela Todarello, gà consigliere di circoscrizione, sua stretta collaboratrice, mentre Giorgis intenderebbe piazzare l’ex assessore regionale Gianna Pentenero (che ha vinto, al momento, il ballottaggio con l'ex sindacalista Cgil Pierino Crema) e Alberto Saluzzo, figlioccio politico dell’ex consigliere regionale Andrea Stara.

Non chiamarle, se vuoi, poltrone. Li chiama zingarettosi, Furia, i “suoi”. Ai quali ha dato appuntamento per domenica pomeriggio nella sezione di via delle Pervinche alle Vallette. Tra i primi a raccogliere l’invito, caldeggiando l’iniziativa, Giusi La Ganga, mentre freddina è stata la reazione di Giancarlo Quagliotti. L’eminenza grigiastra di Piero Fassino si è chiesto e ha chiesto il senso di questa chiamata a raccolta dopo mesi di “riunioni ultrariservate” da cui i fassiniani sarebbero stati tenuti fuori.

“Convochiamoci perché il presente e il futuro del Pd siamo noi”, scrive il segretario del Pd che invoca l’unità e il superamento delle correnti. Perché, spiega, “hanno ragione: o si cambia o si muore”, dice riferendosi a una frase detta dal consigliere regionale Daniele Valle, renziano, critico sul mancato rinnovamento del partito così come sulle scelte per il capogruppo e la vicepresidenza del Consiglio attribuita a Mauro Salizzoni, in un’intervista allo Spiffero. “Sicuramente noi non siamo quelli che vogliono morire”, precisa Furia convocando la corrente del partito che ne predica il superamento. Come si cambia, per non morire.   

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