BERLUSCONES

"Tenere unita Forza Italia": mission impossible di Cirio

Scongiurare la scissione o almeno evitare che la rottura abbia conseguenze traumatiche per il centrodestra piemontese. È il compito che molti vorrebbero affidare al governatore "pontiere", anche a livello nazionale: "Una figura di garanzia per tutti"

L’ultima disperata impresa del pontiere. Provare a costruire un ponte, anche provvisorio di barche, mentre il suo amico e collega Giovanni Toti ha fatto saltare quello traballante da tempo che lo legava ancora a Silvio Berlusconi e a quella parte di Forza Italia che, pur riconoscendo difficoltà e limiti certificati senza eccezioni dalle ultime e penultime tornate elettorali, non seguirà almeno per ora il governatore della Liguria.

Nel bizzarro contesto di una separazione imminente, l’annuncio della partenza da Matera del tour totiano “Cambiamo Insieme” sembra aver impresso un’accelerazione al processo di disgregazione del pazzotico mondo azzurro. Con tutte le incognite del caso, a iniziare dal calendario (non  s’è mai vista una scissione ad agostosi), ci sta anche che qualcuno pensi a una mission impossible affidata ad Alberto Cirio. Pur da poco, ma il presidente con la maglia di Forza Italia di una delle pochissime Regioni guidate dal partito di Berlusconi, sicuramente la più importante per dimensioni e peso politico, è una delle (ultime) figure di spessore che potrebbe essere spesa per tentare di salvare il salvabile. Ha un passato recentissimo al Parlamento europeo dove ha coltivato ottimi rapporti con i due che tra loro si prendono come cane e gatto, ovvero Antonio Tajani e lo stesso Toti. All’ex consigliere di Berlusca è legato da sincera e solida amicizia e conosce bene la strada che porta ad Arcore dove non ha mai mancato di presentarsi con tartufi, voti e lealtà al seguito. Ma soprattutto, come ama ripetere lui è “il pontiere”.

Mestiere utile e riconosciuto quando il terreno consente di costruirli, arte dell’impossibile quando il genio guastatori – com’è visto dal Cav e dal suo cerchio sempre meno magico e sempre più tragico il crescente esercito del ligure –  ha già piazzato tutte le cariche. Cirio però, come diceva Totò, ha fatto il militare a Cuneo, è uomo che conosce il mondo della politica. Lo stesso restare opportunamente ai margini della contesa, anche a costo di provocare il disappunto tra i totiani (tra i quali qualcuno ora gli affibbia l’epiteto di “paraculo”), potrebbe agevolarlo nel compito. Soprattutto se quell’auspicio di chi intravvede ancora minuscoli spiragli per evitare l’implosione dovesse trovare rispondenza nelle strategie di Palazzo Grazioli, così come di quella fetta di partito che riconosce l’esigenza di rinnovarsi ma preferirebbe farlo in maniera incruenta.

Quale il ruolo con cui tradurre il suo essere pontiere è cosa oggi difficile da ipotizzare. Non, appunto, un ricorso a una figura come la sua, se è vero che un altro esponente di lungo corso politico come Enrico Costa quest’idea pare non la escluda affatto, anzi. Tra i due il rapporto è datato nonché solidissimo, l’ex ministro è molto legato a Niccolò Ghedini, ma non ha mai nascosto apprezzamento per Toti, è figliol prodigo del Cav dopo la lunga parentesi alfaniana. Che poi è un po’ il travaglio in cui si muove il ceto politico azzurro, non certo facilitato dai numeri: ormai i Fratelli d’Italia hanno sorpassato nei sondaggi il partito che non ha saputo evitare l’unica vera scissione effettivamente avvenuta: quella con i suoi elettori.

Con il risultato di lasciare un vuoto di rappresentanza in quel centro moderato, liberale e riformatore, vuoto accentuato da uno spostamento a sinistra del Pd di Nicola Zingaretti e con una Lega salviniana su posizioni sempre più a destra, per non dire di Giorgia Meloni. Una platea che chiede rappresentanza perduta, ma che difficilmente potrà trovarla in un partito il cui rinnovamento sarebbe rabberciato sul vecchio o in uno nuovo probabilmente troppo spostato verso il Capitano. Passaggi necessari, ma non risolutivi. Forse solo tappe, più o meno forzate, verso qualcosa che ancora non s’intravvede.

Insomma, anche restando dentro, di ponti bailey da posare ce ne sarebbero. Così come di sbreghi da ricucire. Quello di una lacerazione dei territori oltre che dei vertici di partito è il timore che serpeggia nell’area meno radicale, con venature gattopardesche, degli azzurri in Piemonte. Vecchie volpi, ormai un po’ ingrigite ma memori di lontane esperienze, come Ugo Cavallera, non smettono di raccomandare cautela, guardando a quei feudi, spesso ereditati dalla Dc, ma coltivati per anni prima che piombasse la siccità di consensi. Timori probabilmente giustificati, ma tardivi: quelle terre sono state snobbate proprio dalla politica arcoriana e da alcune scelte indicative della distanza siderale. L’investitura del marziano a Torino, Paolo Zangrillo, nel ruolo che era stato di Gilberto Pichetto con bel altro cursus e ben altra conoscenza del partito piemontese e della regione (con e senza la maiuscola) non solo è stata ed è maldigerita, ma è proprio la rappresentazione plastica di quel che è avvenuto ben prima dello strappo totiano, di cui è anche una delle molte ragioni.

La vittoria del centrodestra (a trazione leghista) e l’approdo di Cirio alla presidenza della Regione non hanno eliminato questi problemi. Che, peraltro, rischiano di emergere con maggior forza nel momento in cui la scissione sarà concreta e concreti i suoi effetti. Un ruolo come quello per cui si sente politicamente votato il governatore semmai non dovesse sortire i pressoché impossibili risultati nell’ambito nazionale, potrebbe invece esplicare i suoi effetti proprio in quel Piemonte e nella maggioranza che lo governa, assicurando a Cirio una necessaria protezione da eventuali e non improbabili conseguenze. Questa sarebbe un’operazione assai utile e non certo impossibile: nessun ponte nuovo da costruire, ma tanti da consolidare per Cirio, il pontiere.

print_icon