INDUSTRIA & LAVORO

Crisi del diesel, Mahle chiude

L'azienda annuncia la cessazione degli stabilimenti di Saluzzo e La Loggia. Oltre 400 lavoratori a rischio. Un altro pezzo dell'indotto automotive che lascia il Piemonte. Fismic: "Intervenga il ministero"

Ieri rivolgevano a Giuseppe Conte, in visita a Torino, un estremo appello a non lasciarli soli, oggi i lavoratori della Mahle hanno scoperto che chiuderanno sia il sito produttivo di La Loggia sia la fonderia di Saluzzo. In tutto sono 450 gli addetti coinvolti. La Mahle è un gruppo che si occupa di componentistica auto, uno dei tanti pezzi di un indotto che implode: I due siti - spiega l’azienda in una nota - hanno alle spalle anni critici dal punto di vista economico. La riduzione del livello di ordini a livello europeo, principalmente nella produzione di motori diesel, ha notevolmente ridotto la capacità utilizzata, attuale e futura, degli stabilimenti di La Loggia e Saluzzo, in cui vengono prodotti pistoni. Pertanto Mahle si trova purtroppo costretta a programmare la chiusura dei due stabilimenti e a breve saranno avviate le consultazioni con le organizzazioni sindacali. L’azienda collaborerà strettamente con i rappresentanti dei lavoratori per considerare ogni possibile misura alternativa e minimizzare il potenziale impatto sui dipendenti”. Nel 2018 il gruppo, con sede a Stoccarda 79mila dipendenti sparsi tra i suoi 160 stabilimenti, ha generato vendite per 12,6 miliardi di euro.

“Contro questa chiusura – afferma il segretario generale Fismic Confsal Roberto Di Maulo – appoggiamo a pieno la lotta dei lavoratori coinvolti. Va impedito alle multinazionali di considerare il territorio italiano come un limone da spremere, intervenga da subito il Ministro Patuanelli”. “Pur in presenza di una profonda crisi di mercato che attraversa tutte le case automobilistiche d’Europa e del salto tecnologico che sta vivendo in questi anni il settore – prosegue – non giustifichiamo in alcun modo un’operazione di chiusura dei siti produttivi italiani che toglie qualunque prospettiva a oltre 450 lavoratori e alle loro famiglie, oltre che incrementare il disastro occupazionale nella provincia di Torino e in Piemonte”.

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