LA SACRA RUOTA

Fca-Peugeot parlerà francese

Viene venduta come fusione alla pari, ma in realtà la posizione dominante sarà quella di Psa che avrà in Tavares l'uomo guida del nuovo gruppo. Le ombre sulle ricadute occupazionali riguarderanno soprattutto le fabbriche italiane

Una possibile fusione tra Fca e Psa riflette “la convinzione che le case automobilistiche più piccole debbano unirsi se vogliono essere competitive”, viste le sfide poste dalle nuove regole sempre più stringenti sulle emissioni e i grandi investimenti richiesti dall’elettrificazione e dalla guida autonoma. È quanto scrive il New York Times in un commento sulla possibile operazione tra i due gruppi Fiat. Dopo aver rinunciato all’offerta sull’altro gruppo francese Renault, per Fca un accordo con Psa “potrebbe essere più facile”, riporta il quotidiano, in quanto “Peugeot non deve convincere un partner come Nissan ha dare il suo consenso” inoltre, “gli analisti ritengono che il governo francese (azionista sia di Psa sia di Renault, ndr) possa essere riluttante a bloccare un’altra fusione nel comparto auto”. Tuttavia, un’intesa dovrà comunque affrontare degli ostacoli: “Viste le dimensioni di Fiat e Peugeot, una fusione dovrà essere sottoposta all’esame delle autorità regolatorie” e allo stesso tempo “il nuovo gruppo sarebbe comunque più piccolo di rivali globali come Volkswagen e Toyota”.

Uno scenario che ha luci e ombre anche per Giuseppe Berta, torinese, storico dell’industria e docente alla Bocconi, a lungo responsabile dell’archivio Fiat. “Siamo tornati come nel gioco dell’oca alla casella di partenza”, spiega lo studioso nel commentare il ritorno di fiamma tra Fca e Psa, con trattative in corso confermate dal Lingotto. “Per me questa è la possibilità di integrazione più giusta, non ho mai creduto in Renault” aggiunge. Un incastro più semplice rispetto a quello con l’altro grande gruppo francese, e che poggia anche su una collaborazione che dura da 41 anni e che ha dato vita alla Sevel, una joint venture che coinvolge l’impianto di Atessa e quello di Valenciennes dove si producono su una piattaforma condivisa milioni di veicoli commerciali. Un po’, quindi, i due gruppi si conoscono.

Le ombre semmai riguardano le ricadute occupazionali. Psa vuol dire Peugeot e Citroen, ma anche Opel. Ovvero una capacità produttiva europea immensa, che rischia di condizionare il futuro degli impianti italiani nella futura alleanza. “Ciò che è buono per l'operazione finanziaria, non è detto che sia buono per i Paesi. L’Italia è un vaso di coccio tra due vasi di ferro come Francia e Germania”, spiega Berta. “L’accordo è fatto per il mercato americano, qui c’è un mare di concorrenza, Peugeot come brand è vero che va bene, ma gli altri marchi Psa vanno male”, aggiunge lo storico, quindi “mi aspetto delle ricadute, spero che Carlos Tavares trovi i soldi per Alfa Romeo e Maserati, perché non continuino a languire come accade adesso”. Proprio il manager portoghese potrebbe fare la differenza in questa operazione.

Scomparso Sergio Marchionne, fuori dai giochi l’altro Carlos, Ghosn ex capo di Reanult-Nissan, secondo molti osservatori l’attuale numero uno di Psa è oggi il miglior manager del settore automobilistico. “È un appassionato di auto, un car guy, ma anche un uomo di finanza. Può assicurare una visione di alto livello, ha messo a terra una strategia determinata votata all’elettrificazione della gamma, mentre in Fca si è appena cominciato, facendo ricorso a grandi fornitori esterni. Anche a livello di piattaforme Psa è più avanti, con progetti modulari su tutti i segmenti”, sottolinea Berta. Sul tavolo resta da chiarire il ruolo dello Stato francese, che come in Renault, è un azionista rilevante anche di Psa. Si tratta però di due storie diverse: Renault era pubblica ed è stata via via privatizzata, in Psa il governo è entrato tramite Bpifrance per salvare l’azienda insieme ai cinesi di DongFeng nel 2008, e ognuno detiene oggi il 12,2%.

Un’uscita del socio pubblico potrebbe rientrare nella complessa architettura che sarà necessaria per definire questa possibile fusione. E sarebbe anche consigliabile, perché i grandi fondi pensione nordamericani, principali azionisti stabili di Fca, vedono come il fumo negli occhi i soci pubblici, perché soggetti alla politica. Proprio l’invadenza dello stato francese, spinse Fca a rinunciare. Ora tutto sembra diverso, anche perché Tavares è difficile che si faccia mettere i piedi in testa, proprio come fece Marchionne nella trattativa su Chrysler con la Casa Bianca.

Tra i dati positivi, proprio la presenza del gruppo cinese DongFeng assicura importanti aperture sull’Asia, senza ingerenze interne, come nel caso di Nissan con Renault. Fca ha bisogno di crescere su quei mercati, oggi solo il marchio Jeep va bene in Asia, mentre Psa cerca un partner per i propri prodotti. Stesso discorso per gli Stati Uniti, che per i francesi è una terra di conquista sempre impervia, e Fca offre un’opportunità unica. “Fca o pensa ad alleanze internazionali o non sopravvive. Specie nel mondo della mobilità elettrica, da questa logica non si sfugge. È chiaro che sono operazioni che vanno fatte al meglio. Credo il gruppo possa affrontare questa avventura”, evidenzia Claudio Chiarle della Fim Cisl torinese, che segue le vicende del Lingotto da una vita. “Maserati per quanto riguarda Torino va rilanciata, e sulla 500 elettrica che dall’anno prossimo sarà prodotta a Mirafiori non vedo particolari problemi rispetto alla gamma dei prodotti di Psa. Anche se, queste operazioni non consentono di imporre nulla, si è sempre alla pari con gli altri contraenti”, aggiunge.

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