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Finpiemonte: Ambrosini "a tempo". Duello Ravanelli-Damilano per la successione

Cirio ha chiesto all'attuale presidente di restare fino all'approvazione del bilancio. Intanto in casa Lega si scalda la partita per la successione

Finpiemonte, per ora, non cambia presidente. Nella riunione odierna di giunta è stato deciso di lasciare Stefano Ambrosini in carica fino a primavera, quando verrà approvato il bilancio relativo al 2019. Nessun brusco cambiamento alla guida della finanziaria regionale, dunque: piazza Castello ha chiesto al professore torinese, scelto dalla precedente amministrazione di centrosinistra, di restare al suo posto.

Diversi i motivi alla base della decisione assunta da Alberto Cirio. Anzitutto quello di non “bruciare” il mandato triennale del futuro presidente per pochi mesi: infatti, se fosse nominato oggi il successore avrebbe di fronte a sé solo due esercizi. In secondo luogo, il governatore vuole evitare scossoni che possano ulteriormente compromettere l’attività e la reputazione di Finpiemonte, già compromesse dal noto scandalo degli ammanchi milionari sui conti correnti in Svizzera. La società, pur nella bufera giudiziaria, ha risanato i conti e Ambrosini insieme al direttore generale Marco Milanesio stanno completando la riorganizzazione interna. E questo anche per via della decisione del presidente e del cda, risalente agli ultimi mesi dell’era Chiamparino e condivisa dalla nuova giunta, di non fondersi con Finpiemonte Partecipazioni, come invece caldeggiava l’assessore dell’epoca, Giuseppina De Santis.

Insomma, una fiducia “a tempo” dettata dallo standing di Ambrosini, professionista che gode non da oggi di apprezzamenti bipartisan, e dalle sue capacità di gestione, dimostrate soprattutto nella trattativa con Bankitalia che ha scongiurato lo scioglimento coatto della finanziaria e la messa in mobilità dei dipendenti. L’indagine romana su Astaldi ne ha indubbiamente offuscato l’immagine anche se da più parti si esprimono parecchie perplessità sulla sostenibilità in giudizio dell’accusa di corruzione formulata dai pm. Del resto, il fatto stesso che dopo l’esplosione del “caso Astaldi” non vi siano state richieste di passi indietro nei numerosi altri incarichi di Ambrosini è segno della grande prudenza con la quale in quel mondo si segue un’inchiesta dai contorni piuttosto nebulosi.

Sotto la gestione Ambrosini, Finpiemonte ha avviato una profonda riorganizzazione aziendale che ha portato tra i risultati più concreti l’accordo raggiunto con la Regione per la cessione di crediti deteriorati per un importo di circa 121 milioni di euro: operazione che comporterà un ricavo previsto di oltre 1,2 milioni. La cura dimagrante ha portato a ridurre il personale, passato in un anno da 95 agli attuali 87 addetti. Inoltre a ottobre è stato siglato con Cassa Depositi e Prestiti un accordo per attivare sinergie e investimenti.

Non è inoltre sfuggito il “merito” di aver scoperto e prontamente denunciato una nuova truffa ai danni di Finpiemonte da parte della “famigerata” Gesi che avrebbe presentato false fidejussioni a garanzia dei propri debiti.

A questo punta la maggioranza di centrodestra e il governo regionale hanno alcuni mesi per cercare di dare un volto al successore. Una partita che, a quanto riferiscono rumors raccolti tra piazza Castello e Palazzo Lascaris, si gioca tutta in casa Lega. Si profilerebbe una sorta di duello che vede contrapposti due candidati sostenuti da “cordate” interne al Carroccio (non solo piemontese). Da una parte il presidente uscente di Confindustria regionale, Fabio Ravanelli, appoggiato dalla compente leghista novarese (di concerto con il leader piemontese Riccardo Molinari), dall’altra l’imprenditore Paolo Damilano, gettato nella mischia dall’area che fa riferimento al numero due di via Bellerio Giancarlo Giorgetti e che avrebbe nell’assessore torinese Fabrizio Ricca il suo esponente di punta. Chi avrà la meglio?

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