POLITICA & GIUSTIZIA

"15mila euro alla cosca", questa l'accusa a Rosso

Per il procuratore generale Saluzzo non ci sono dubbi: "E' sceso a patti con i mafiosi e l'accordo ha avuto successo". Secondo l'accusa il politico era consapevole dell'appartenenza criminale dei suoi interlocutori - VIDEO

Sull'arresto dell'ex assessore regionale Roberto Rosso (ha firmato in carcere le dimissioni dalla giunta) le indagini avrebbero fornito, secondo l’accusa “una chiara evidenza delle ragioni dell’intesa tra il sodalizio” mafioso e il presidente del consorzio Oj Solution, Mario Burlò (per lui l'accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa). Da un lato quest’ultimo, dovendo investire l’ampia liquidità realizzata dall’evasione fiscale, avrebbe investito in acquisti immobiliari supportato dalla protezione fornitagli dai membri dell’organizzazione criminale. Allo stesso modo la cosca ha ottenuto illecitamente ingenti profitti e il controllo di attività economiche in vari settori imprenditoriali. Negli atti si fa riferimento all’ingerenza della consorteria in occasione delle elezioni politiche regionali del 26 maggio 2019 nel corso delle quali avrebbe stipulato un “patto di scambio” con l’allora candidato Rosso, consistente nel pagamento di 15mila euro in cambio della promessa di un “pacchetto” di voti. Da quanto si apprende, della somma concordata con gli intermediari delle cosche, Rosso ne versò poco meno di 8 mila, in due tranche da 2900 e 5000 euro. A fare da tramite sarebbero stati Enza Colavito e Carlo De Bellis, quest’ultimo già coinvolto nelle indagini Minotauro e Big Bang. Dalle indagini sarebbe emersa “la piena consapevolezza del politico e dei suoi intermediari circa la intraneità mafiosa dei loro interlocutori”.

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Dopo essere stato eletto al consiglio regionale del Piemonte, Rosso non voleva versare agli esponenti della 'ndrangheta la somma concordata perché riteneva di avere preso meno voti del previsto. È quanto si ricava dall'ordinanza di custodia cautelare del gip Giulio Corato. “No – disse Rosso all’imprenditrice Enza Colavito, che fece da intermediaria, in una telefonata intercettata dalla Guardia di finanza – io ho verificato e sono dei cacciapalle incredibili. Diglielo pure”. L’ordinanza rileva che nel Comune di San Gillio, dove risiede uno dei presunti boss con la famiglia, Rosso raccolse solo due preferenze. Uno degli arrestati, Francesco Viterbo, fu sentito fare commenti malevoli su Rosso: "Il suo comportamento è stato uno schifo”. E alla fine, dopo una laboriosa trattativa, Rosso si decise a proporre - si legge nelle carte - di “corrispondere una somma di denaro corrispondente alla metà di quella precedentemente pattuita”. Secondo il giudice, il neo consigliere regionale affrontò la questione con una "serietà" che dimostra la “consapevolezza della caratura criminale" dei suoi interlocutori e avvertì “il concreto pericolo di conseguenze indesiderabili”.

“Secondo le risultanze delle indagini Roberto Rosso è sceso a patti con i mafiosi. E l’accordo ha avuto successo” ha detto Francesco Saluzzo, procuratore generale del Piemonte, a proposito dell’operazione Fenice della Guardia di finanza sulla ‘ndrangheta nel Torinese. Gli investigatori hanno documentato – anche con immagini – diversi incontri tra Rosso e alcuni presunti boss, tra cui Onofrio Garcea, esponente del clan Bonavota in Liguria, anche in piazza San Carlo a Torino.

Rosso, nel 2012, da deputato alla Camera, fu tra i firmatari di una interpellanza su rapporti tra la 'Ndrangheta e le istituzioni in cui compariva anche il nome di Onofrio Garcea, il presunto boss che nei mesi scorsi, prima delle elezioni regionali, ha incontrato a Torino. La circostanza è contenuta nelle carte dell’inchiesta della Guardia di finanza. L’incontro fra Garcea e Rosso, di cui ci sono delle fotografie, è avvenuto al comitato elettorale di via Alfieri e l’interpellanza del 2012 testimonierebbe che Rosso sapeva bene chi stesse incontrando, al punto che si occupò di lui nell’ambito della sua attività istituzionale.