EMERGENZA SANITARIA

"Tutto il Piemonte zona rossa"

La Regione torna a chiedere misure omogenee per l'intero territorio. Tensioni con il Governo sul decreto: "Non è stato condiviso". Ci attende un'altra settimana critica con i numeri del contagio destinati a salire. Martedì il varo dei provvedimenti economici

Il sistema sanitario del Piemonte per ora regge, “ma teniamo conto che nell’evoluzione dell’epidemia siamo una settimana indietro rispetto alla Lombardia. I prossimi giorni i numeri saliranno ancora. Per cercare di fermarli, tutti senza eccezioni devono osservare le regole. Serve molta più responsabilità. Giovani e meno giovani pensate anche agli altri, rispettate le disposizioni”. I numeri di cui parla l’assessore regionale alla Sanità Luigi Icardi, ieri erano questi: 9 morti, 295 ricoverati di cui 45 in terapia intensiva, 69 in isolamento fiduciario. Cifre che purtroppo sono destinate a salire, mentre l’assessore non nasconde, anzi ripete con forza, che “il rischio sono i posti di rianimazione. Se noi riusciamo a contenere la curva del contagio allora la situazione si fronteggia”. L’alternativa è evidente.

Una guerra difficile, quella contro il coronavirus che purtroppo continua ad avere alleati la stupidità e l’incoscienza di molti. Le immagini di movida o di palesi violazioni di regole che tutti dovrebbero osservare, sono l’inaccettabile opposto di altre immagini: quelle di medici e infermieri che lavorano senza sosta, di pazienti in gravi condizioni, di persone la cui salute è messa a repentaglio.

Si vedrà da oggi quanto potranno incidere le misure per cercare di arginare il contagio contenute introdotte con la classificazione di zona rossa, poi virata in arancione, di 5 delle 8 province piemontesi disposta nel decreto approvato nella notte tra sabato e ieri, con una procedura e con provvedimenti che hanno provocato più di un’irritazione e delusione da parte dei presidenti delle Regioni, compreso lo stesso Alberto Cirio. “Bisogna cambiare metodo” avverte il governatore nel suo isolamento tra le mura domestiche, dopo essere risultato positivo al test del Covid-19. La sua severa esortazione è diretta al Governo che, tra fughe di notizie, proposte abborracciate e disposizioni alcune delle quali ancora oggi di difficile interpretazione certa, non ha dato prova di avere una plancia di comando solida e non è stato in grado di tenere quegli indispensabili rapporti con le Regioni e, a cascata, con i sindaci che hanno saputo del decreto dai media.

“In condizioni come queste non possiamo ricevere alle 20 e 15 di sabato una bozza di decreto con richiesta di un parere entro le 22”, si sfoga Cirio. E proprio in quelle due ore scarse la Regione, come racconta Icardi, “decide, sulla base della valutazione e dell’indicazione dell’Unità di Crisi, di chiedere al Governo l’estensione a tutto il Piemonte della zona rossa”. Posizione avvalorata dal parere autorevole del Comitato tecnico-scientifico istituito dalla Regione proprio per supportare le decisioni politiche: un pool di esperti e specialisti – dall’ex direttore della scuola di Medica Ezio Ghigo ai rettori delle due università piemontesi, Stefano Geuna e Giancarlo Avanzi – presieduto da Roberto Testi, direttore del Dipartimento prevenzione dell’Asl di Torino e che vede trai suoi componenti anche un magistrato, il sostituto procuratore Marcello Tatangelo. Alessandria e Asti da sole, non bastano, dicono gli esperti. Per evitare che resti quella prima ipotesi, con la bocciatura della richiesta per l’intera regione, si propone in subordine l’allargamento alle province di confine con la Lombardia. E sarà quella la decisione che finirà nel testo firmato da Giuseppe Conte. “Ne abbiamo preso atto”, dice ancora Cirio lasciando ben intendere che la linea indicata da Torino era diversa e più rigida, pertanto potenzialmente più efficace. La sensazione è che a Roma inizialmente abbiano indicato Alessandria e Asti solo guardando ai numeri, dimenticando che per la seconda provincia i dati sono soprattutto legati ai pazienti ricoverati dopo il contagio nell’hotel di Alassio.

Le questioni, tra cui quella legata alla non ancora del tutto chiara legata alla mobilità interna, legate al decreto oggi dovrebbero essere affrontate con il premier dai governatori in una conference call probabilmente nel pomeriggio. Domani, invece, è previsto il varo del decreto sulle misure economiche. Dovrebbe essere prevista per tutta la regione la possibilità di accesso alla cassa integrazione in deroga, utilizzabile dalle imprese, compreso artigianato, commercio e servizi, senza un limite minimo di dipendenti. Per le zone rosse, in più, ci sarà il Fis, il fondo integrativo speciale che consente la copertura della quota di stipendio non prevista dagli ammortizzatori.

Provvedimenti importanti per supportare l’economia, ma che risulterebbero un’amara consolazione nel caso la situazione sanitaria assumesse dimensioni ben peggiori rispetto a quelle già drammatiche. “Le misure messe in campo per il Piemonte dall’inizio dell’emergenza sono state troppo deboli, le maglie si sarebbero dovute stringere subito”, sostiene l’assessore alla Sanità, a casa in attesa del responso del test cui si è sottoposto, come il resto della giunta, dopo il risultato del tampone effettuato da Cirio. “Per questo avevamo chiesto la zona rossa per tutto il Piemonte. Più i provvedimenti draconiani sono precoci, maggiore è l’effetto”.

Icardi non ha timori nel definire “Alessandria fuori controllo con quanto successo in quella sala da ballo. Siamo arrivati a un punto in cui non si riesce più a ricondurre i contagi a un focolaio lombardo e dobbiamo parlare di focolaio autoctono. Per quanto riguarda Tortona, dove si sono verificati molti casi proprio per il contagio nella balera di Sale, “l’ospedale resterà Covid Hospital”. Per ora non ne sono previsti altri. “Abbiamo deciso di predisporre in tutti gli ospedali che lo consentano uno o più reparti dedicati. Questo – dice l’assessore – ci dà due vantaggi: averli diffusi sul territorio evitando spostamenti e aumentare i posti”. Domani dovrebbe essere tradotto immediatamente in pratica un protocollo di intesa con la sanità privata, cui sta lavorando il direttore regionale Fabio Aimar, che porterà a ulteriori 150 posti. Tra le ipotesi anche una struttura a Torino che potrebbe essere destinata, con letti di terapia intensiva, alla cura dei pazienti affetti dal virus.

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