DIRITTI & ROVESCI

Le ordinanze di Cirio? Impugnabili

Lo dice il costituzionalista Cavino: "Non ci sono le condizioni previste dal dpcm per derogare". E intanto prosegue il braccio di ferro tra Stato e Regioni mentre l'esecutivo esautora il Parlamento. "Attenzione, sarà difficile tornare indietro"

Potrebbero essere impugnata l’ordinanza di Alberto Cirio con cui la Regione Piemonte tiene chiuse librerie, cartolerie e negozi di abbigliamento per neonati, in contraddizione con quanto previsto dal Governo. Certo, vallo a trovare oggi chi avrebbe voglia, tempo e denari di aprire una querelle giudiziaria se dovesse ricevere una multa, ma almeno in linea teorica gli spazi per un ricorso ci sarebbero, eccome. Il perché lo spiega Massimo Cavino, avvocato, costituzionalista, docente di Diritto Costituzionale all’Università del Piemonte Orientale: “Le ordinanze regionali possono essere adottate nelle more del Dpcm quando vi siano delle sopravvenute esigenze, questo è quanto si legge nel provvedimento. Nel caso del Piemonte, ma anche delle altre regioni come Lombardia ed Emilia-Romagna, abbiamo un atto emesso quasi contemporaneamente a quello nazionale e in assenza di fatti nuovi”. La questione è squisitamente tecnica e lo stesso professor Cavino non entra nel merito dei vari provvedimenti. Insomma, un conto è se dopo alcuni giorni dal decreto la Regione decidesse di emanare un’ordinanza perché nel frattempo è esploso un nuovo focolaio in qualche provincia, altro è se escono due atti contraddittori: uno da Palazzo Chigi, l’altro da piazza Castello.

Secondo i dati di Nomos, dall’inizio dell’emergenza a oggi sono stati adottati dal Governo 8 decreti legge e 7 decreti della presidenza del Consiglio (dpcm). Altri cinque provvedimenti governativi erano stati presi prima del lockdown nazionale e riguardavano la creazione di zone rosse in Lombardia e Veneto e la sospensione di alcune attività. Sono state 64 le principali ordinanze e direttive nazionali collegate ai dpcm e solo la Regione Piemonte ha emanato ulteriori 18 atti, tra ordinanze, decreti e note esplicative, per recepire, interpretare e in parte rivedere le disposizioni previste da Roma. Un dedalo di provvedimenti che spesso hanno tratto in inganno i cittadini: basti pensare alla diatriba sulla corsa al parco sì o no.

Norme e provvedimenti che s’intrecciano e sovrappongono. E come abbiamo visto, talvolta pure si contraddicono. In realtà, è da quando è iniziata l’emergenza che Regioni e Governo sono impegnate in un conflitto permanente tra rimpalli di responsabilità e accuse reciproche, perciò non sorprende questo braccio di ferro a suon di ordinanze. “Qui entra in causa anche l’articolo 120 della Costituzione – spiega Cavino – quello che fa riferimento al principio di leale collaborazione tra le istituzioni. Noi abbiamo assistito a una sorta di gara, con sindaci che pretendevano di bloccare lo stretto di Messina e governatori che mettevano all’indice lo stato centrale. Il principio di leale collaborazione, però, presuppone una qualità della classe dirigente”. Insomma, responsabilità in questi momenti vuol dire anche saper mantenere un atteggiamento sobrio ed evitare di alzare il livello di conflitto istituzionale, con le polemiche che spesso sembravano avere come unico scopo quello di coprire le proprie mancanze.

Secondo il professor Cavino “queste continue fughe in avanti, sia in senso restrittivo sia in quello contrario, sono il frutto anche dalla difficoltà di coordinamento della Protezione Civile”.

Restano poi dei dubbi anche sul percorso intrapreso dal Governo per legiferare in questa fase di crisi. Se inizialmente, infatti “sembrava si volesse adottare il codice della Protezione Civile con la dichiarazione di emergenza nazionale del 31 gennaio, poi si è scelta la strada dei dpcm che porta a concedere un potere enorme al Presidente del Consiglio, anche nella restrizione delle libertà personali”. A differenza del decreto legge, che viene emanato dal Quirinale e necessita di una conversione in legge da parte delle Camere, infatti, il dpcm è emanato direttamente dal premier e non ha bisogno di un passaggio parlamentare. Sembrano questioni prettamente tecniche, ma come spesso accade la forma è anche sostanza. Non solo: anche decreti come il Cura Italia “sono stati emanati e poi andati in Parlamento per la conversione in legge che si è trasformata nei fatti in una delega in bianco al Governo”. Per questo si è parlato più volte di esautorazione delle assemblee legislative. Un caso di scuola, secondo Cavino, poiché “non ci possono essere provvedimenti così fortemente limitativi delle libertà personali senza che questi siano sanciti dal Parlamento. Uno sbilanciamento pericoloso del potere nelle mani dell’esecutivo”.

La sensazione è che in più di un’occasione si sia alzato il livello d’allarme per accrescere la disposizione dell’opinione pubblica a digerire ogni tipo di restrizione. “Ci viene posta la scelta tra libertà e salute, tra l’essere liberi e sani – dice Cavino – oggi ci sembra normale e siamo disposti ad accettare tutto di buon grado ma attenzione perché tornare indietro potrebbe essere più difficile del previsto”.

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