EMERGENZA SANITARIA

Così è nato il "caso Piemonte"

Aprile è stato il mese horribilis di una regione diventata "malato d'Italia". In 30 giorni i casi di positività al Covid sono passati dall'8,9% al 13,8%. "Ora attenzione ai focolai familiari". L'analisi di Fornaro

Quello alle spalle, può essere considerato il mese horribilis del Piemonte, regione considerata ancora “calda” da un punto di vista epidemiologico, caratterizzata cioè da un’alta concentrazione di casi che viene alimentata da un alto incremento giornaliero. La regressione c’è ma finora è stata più lenta che altrove, anche se già nei prossimi due giorni prima della riapertura delle fabbriche dall’Unità di crisi c’è chi si attende un più deciso miglioramento.  

Intanto però l’allerta resta a livello alto. Lo dimostrano i dati elaborati dal deputato Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla Camera, studioso molto avvezzo ai numeri. Bisogna innanzitutto tenere conto che in sole 5 regioni (Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Liguria) che insieme rappresentano il 42 per cento della popolazione si registrano a ieri il 75,8% dei casi totali, mentre al 1° aprile l’incidenza sul totale dell’Italia era lievemente inferiore (74,7%). Nell’arco dell’ultimo mese, però, Lombardia ed Emilia-Romagna decrescono nel loro peso sul totale Italia, rispettivamente dal 40,5% al 37,0% e dal 13,4% al 12,4%. Il Veneto rimane stabile all’8,7%. In netta crescita, invece, il Piemonte che passa dall’8,9% al 13,8%, seguito dalla Liguria (dal 3,3% al 3,9%). Se invece prendiamo l’aumento giornaliero dei casi Covid, la fotografia è questa: nelle cinque regioni, il 1° maggio si registra l’82% del totale Italia (1.965). Un mese fa, 1° aprile, i casi erano molti di più (4.782) e l’incidenza delle cinque regioni era del 72,9%, quasi dieci punti percentuali in meno. A dimostrazione che finché rimane sotto controllo – come in molte regioni del Centro e Sud Italia – il virus può essere gestito e circoscritto, ma laddove la curva inizia a crescere in modo esponenziale i tempi per un ritorno alla normalità sono altissimi così come il prezzo in termini di vite.

A ieri, la crescita giornaliera, in Lombardia, è stata pari al 37,5% del totale Italia (era il 32,7% il 1° aprile), in Piemonte al 20,1% (rispetto al 10,3% di un mese fa), in Emilia-Romagna al 10,6% (14,9%), in Veneto al 7,0% (9,8%) e in Liguria al 6,8% (5,1%). Tra Piemonte e Liguria, quindi, si registrano il 26,9% dei nuovi casi Covid-19 in Italia, quando in queste regioni gli abitanti sono solo il 9,8% del totale. Un mese fa, invece, nelle due regioni vi erano il 15,1% dei nuovi casi giornalieri. In valore assoluto i nuovi casi giornalieri passano in un mese in Piemonte da 494 a 395 e in Liguria da 244 a 133, mentre in Italia da 4.782 a 1.965. Quest’ultimo dato dimostra come il trend sia in diminuzione anche in Piemonte, seppur in modo decisamente più basso.La drammaticità di aprile in questa regione si può riscontrare anche sui decessi. Se negli ultimi trenta giorni, infatti, Lombardia ed Emilia-Romagna sono sostanzialmente raddoppiati, in Piemonte sono più che triplicati, passando da 886 a 3.097.

“Questi dati confermano che in Piemonte e Liguria, pur all’interno di una tendenza nazionale alla diminuzione del fenomeno, la situazione dei nuovi casi Covid-19 è ancora da monitorare seriamente. La pressione sugli ospedali è scesa significativamente (in Piemonte i pazienti in terapia intensiva sono 181 rispetto ai 359 di un mese fa e in Liguria 68 contro 181), ma guai a far scendere l’asticella dell’attenzione” afferma Fornaro. Da un punto di vista sanitario, secondo il parlamentare alessandrino, sarà fondamentale che, se la prima fase dell’emergenza si è connotata per un altissimo tasso di ospedalizzazione, con la Regione Piemonte che si è adoperata per potenziare le terapie intensive e creare interi reparti Covid, ora sarà determinante concentrarsi sulla medicina territoriale, sulla gestione dei malati lievi o di coloro che escono dall’ospedale ma necessitano ancora di isolamento. “Se non vogliamo avere brutte sorprese alla riapertura – conclude Foraro – bisogna concentrare l’attenzione sui cosiddetti focolai domestici con tamponi e isolamenti domiciliari. Dal territorio arrivano invece segnalazioni di disfunzioni organizzative e ritardi nei tamponi che ogni giorno che passa diventano francamente incomprensibili e soprattutto inaccettabili pensando alle conseguenze per i pazienti e il sistema nel suo complesso”.

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