CHI E' STATO

Il Piemonte aspetta sempre Roma, dell'Autonomia non sa che farsene

Per le riaperture si attendono oggi le indicazioni del Governo. Com'è sempre avvenuto durante l'emergenza: dalle misure sanitarie all'approvvigionamento dei materiali. La Regione non ha saputo emanciparsi dal potere centrale. E allora basta con la farsa

Aspettando Roma. Sta nel posto più impensato, in quell’avversato centralismo bersaglio di mille battaglie promesse, il Godot dei paladini dell’autonomia. Non tutti, però. Perché anche in questa drammatica e complicata vicenda che ha sconvolto il Paese, con un prezzo altissimo per il Nord, c'è chi sulle decisioni autonome e pure in contrasto con le direttive centrali ha scommesso e ha vinto. Non è il Piemonte.

Quindi non stupisce che anche per l’attesa decisione su quanto e come riaprire da lunedì, si aspetti ancora una volta Roma. I numeri, sui contagi e di altri indicatori della curva epidemica, che se troppo alti indurrebbero a un rinvio almeno per alcune categorie, paiono indurre a un seppur cauto ottimismo. Ieri il presidente della Regione ha ricevuto conforto in tal senso dai pareri della responsabile del Seremi Chiara Pasqualini e dall’epidemiologo Paolo Vineis. Le linee guida per parrucchieri e centri estetici sono state giudicate accettabili sia dalla task force dell’ex ministro Ferruccio Fazio, sia dal Comitato tecnico-scientifico. Non altrettanto unanime il giudizio sulle prescrizioni cui dovrebbero essere sottoposti bar e ristoranti: troppo farraginose e inapplicabile a detta delle categorie interessate, ancora non del tutto sufficiente per garantire protezione ad addetti e clienti secondo gli esperti.

Ma Alberto Cirio, alternando in questi ultimi giorni spinte in avanti e frenate, interrogando la sibilla cumana dei dati, la decisione la prenderà solo dopo la videoconferenza di questa mattina, insieme a tutti gli altri governatori, con il premier Giuseppe Conte e i ministri Francesco Boccia e Roberto Speranza. Successivamente si confronterà, sempre a distanza, con i sindaci delle principali città, i presidenti di Provincia e i rappresentanti del mondo economico e produttivo.

Si aspetta, logicamente, la proposta del Governo. Poi in tale cornice il Piemonte si adatterà. Come del resto è sempre avvenuto fin dall’inizio di questa emergenza. Anche quando la situazione era assai più critica, almeno dal punto di vista sanitario, si è scelto di seguire pedissequamente i dettami nazionali, trincerandosi dietro il moloch dell’Istituto Superiore di Sanità e ai suoi repentini cambi di linea. Eppure non mancavano, già allora, esempi non lontani, né geograficamente né politicamente, di un diverso tipo di approccio, certamente più autonomo rispetto alle indicazioni del Governo. Che si trattasse di disposizioni sanitarie per contenere l’epidemia, di modalità per l’approvvigionamento di attrezzature e materiali o di misure rivolte alla cittadinanza. Roma decideva il Piemonte disponeva. Approntando una macchina organizzativa che ha mostrato falle fin da subito con a capo prima il responsabile del 118, Mario Raviolo, un mezzo esaltato dalla condotta a dir poco discutibile (e su cui ora indaga la Corte dei Conti), poi un geologo richiamato dalla pensione, Vincenzo Coccolo, fanatico dei micropali che da dirigente regionale voleva disseminare sul tutto il territorio piemontese.

A dire che “serviva più coraggio e più autonomia”, è stato l’ex ministro Fazio, non certo annoverabile tra gli allievi di Gianfranco Miglio. Nel Nord Est Luca Zaia si è messo nelle mani del virologo Andrea Crisanti, quasi un uomo solo al comando in una corsa contro il tempo e contro il virus, mentre in Piemonte si è scelto di costituire pletorici apparati da far invidia alla burocrazia romana, con aggiunta di magistrati in servizio e in pensione, affidando il comitato scientifico a una medico legale più avvezzo a sezionare cadaveri che a guarire malati. Per “scoprire” che a Torino c’è un infettivologo della levatura di Giovanni Di Perri e finalmente cooptarlo c’è voluto tempo, soprattutto per smaltire quella che in corso Regina come in piazza Castello era stata vissuta come lesa maestà: l’aver criticato l’azione della Regione. Così come sono passate settimane prima di chiedere l’aiuto del professore dell’Imperial College Vineis o, ancora, per chiamare dalla sua Garessio (non da in capo al mondo) Fazio.

Nel frattempo anziché guardare al Veneto, il Piemonte ha seguito il modello lombardo ricalcandone gli errori. Quando anche molti esperti indicavano i limiti delle prescrizioni dell’Istituto Superiore di Sanità e le necessità di superarli, aumentando il numero dei tamponi, la Regione in cui il numero dei contagi e delle vittime continuava a salire e restare troppo alto ha proseguito seguendo Roma abdicando, in questo caso più che in altri, proprio all’esercizio di autonomia. Più comodo nascondersi dietro a recriminazioni e lamentele verso il potere centrale, ma l’estrema marginalità della tanto proclamata autonomia nel suo valore salvifico è stata ed è una costante di una regione il cui governo, insediatosi poco meno di un anno fa, ne ha sventolato il vessillo. Tradotto fino ad oggi in una commissione, peraltro ancora da varare. La questione è tutti qui: che te ne fai di progetti ambiziosi se poi non hai classi politiche all’altezza? Rimane la propaganda del pisquano di turno, del Vco o del Canavese pari sono.

E se qualche guizzo, indotto dall’emergenza, ha portato a scelte autarchiche come quella di rifornirsi in loco delle introvabili mascherine è poi parzialmente inciampata in normative nazionali sulla classificazione e, ancora, scoprendo che molte sono fabbricate in Marocco (roba che fino a qualche anno fa, o anche meno, avrebbe imbarazzato più di un leghista). Il resto della storia di questi mesi nel Piemonte, che ha visto aprire la legislatura all’insegna dell’autonomia è tutto diverso dalla storia di chi l’autonomia, come si diceva, l’ha tradotto da enunciato a pratica.

Si è già detto, in queste settimane, ma i fatti continuano a testimoniarne il peso e l’attualità: Cirio e la sua giunta avevano un modello, forse davvero il più autonomista in questa vicenda e fin dall’inizio, da poter seguire: quello del Veneto. La zona rossa rapidamente attuata a Vo', i tamponi eseguiti in quantità massiccia fin da subito in un crescendo che continua ancora, per non dire di quelle scorte di reagenti fatte fin da gennaio, evitando che accadesse quel che invece è accaduto in Piemonte dove laboratori sono rimasti fermi per giorni.

Ieri Zaia ha annunciato che nella sua regione lunedì apriranno anche i centri estivi per bambini, gli asili, le fattorie didattiche, con misure di distanziamento, controllo della temperatura e dispositivi di protezione. In Piemonte il sindaco di Borgosesia, Paolo Tiramani, ha dato vita a una sperimentazione didattica per una decina di bambini, sfidando la ministra Lucia Azzolina. Ebbene, pure in questo caso, la Regione ha fatto orecchie da mercante (vero assessore Chiorino?) limitandosi a scrivere una lettera così generica da risultare inutile, scaricando di fatto il parlamentare e primo cittadino leghista. Cirio avrebbe potuto anticipare, almeno in questo caso, Zaia. Ma c’è l’autonomia del fare e quella del dire. Aspettando Roma.

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