EMERGENZA SANITARIA

"Fermate la corsa al sierologico altrimenti va in tilt il sistema"

L'esame anticorpale è disponibile a pochi euro, persino in un kit fai da te. In caso di positività al test va fatto il tampone. E qui iniziano i problemi: non ci sono per tutti. L'appello dell'infettivologo Chichino: "Non fateli". Eppure sarebbero utili per lo screening della Fase 2

“Non correte a fare i test sierologici. I cittadini, al di fuori di piani predisposti da strutture sanitarie o aziende, non li facciano. Sono fonti di guai e basta”. Un sasso, bello grosso, lanciato nello stagno. Altro non sono le parole di Guido Chichino, infettivologo formatosi al San Matteo di Pavia e da anni primario all’Azienda ospedaliera di Alessandria.

Era già incominciata prima della fine del lockdown la corsa all’analisi del sangue per scoprire se si è venuti in contatto con il coronavirus aveva, adesso nei laboratori c’è la fila da far invidia ai saldi. Igg e Igm ricorrono nei discorsi come i pronostici sulle partite al bar sport. Oltre che di santi, poeti e navigatori, proviamo anche ad essere un popolo di virologi, con l’aiuto di questi ultimi presenza fissa in tivù più del meteorologi.

Insomma, è dura convincersi che quell’esame così semplice – un ago nel braccio, addirittura uno spillo nel dito per chi azzarda il fai da te, e poche decine di euro – è addirittura un intralcio. Come avverte l’infettivologo che ha spinto quando c’è stato da mettere in campo le cure tempestive a domicilio per curare dal Covid e che adesso dice: non correte a fare il test. “Lo fanno e poi se l’esito è positivo non sanno che fare, telefonano, chiedono. E io cosa posso rispondere se non di fare il tampone. Ma non me lo fanno, rispondono. Ecco”. Appunto, ecco cosa sta succedendo e cosa potrà accadere nelle prossime settimane, mesi quando oltre a indicare con buona approssimazione di aver contratto o meno il virus, i test confermeranno con certezza che c’è un problema.

Houston è in Piemonte, dove i tamponi continuano a scarseggiare e a farsi attendere per i sintomatici, figuriamoci per chi vagola con in mano il referto di uno dei tanti laboratori rapidamente attrezzatisi per fare ciò che il ministero e le Regioni continuano a spiegare ha valenza esclusivamente epidemiologica, insomma sapere non chi ma quanti sono i positivi. E qui sta la prima contraddizione che diventa guaio.

Quelli paventati da Chichino stanno, a suo dire, nell’equivoco: “Faccio il test, accerta che ho fatto il Covoid senza accorgermene e quindi sono protetto: Chi l’ha detto? Nessuno ti può dire che sei protetto. E se scopri di essere positivo che succede? Te lo fanno il tampone?”. La regola dovrebbe essere quella, ma la realtà è un’altra.

“Il centro che effettua i test è tenuto a segnalare al Sisp i casi positivi, ma poi cosa accade? Si fanno rapidamente i tamponi?”. A chiederselo, con la risposta purtroppo già in tasca, è un medico di medicina generale di lunga esperienza come il torinese Giorgio Diaferia. “L’aumento dei test dovrebbe comportare una risposta adeguata e rapida in termini di tamponi, ma ad oggi non se ne fanno più di settemila circa al giorno. Come si potrà rispondere a quei potenzialmente positivi che hanno fatto autonomamente l’esame?”.

Non serve prescrizione e quindi, chiunque può andare in un laboratorio privato o addirittura nello studio di un medico (molti li fanno da qualche tempo) e sottoporsi al test. La norma prevede che in caso di positività si avverta il Sisp e già qui, il nome evoca lentezze, mail perdute e altre falle che solo un miracolo, oltre che a misure concrete che non si sono viste, avrebbe potuto spazzare via dopo mesi di inciampi e lentezze. Gli stessi medici di famiglia, oggi possono disporre la quarantena a presunti positivi, ma la quarantena non può trasformarsi in arresti domiciliari nell’attesa della decisione del giudice che in questo caso sono i due tampono negativi. Ci sono persone che li hanno attesi per settimane e settimane. Di fronte a questo scenario a dir poco confuso, cosa fa chi riceve l’esito positivo del test? “Meglio lasciarli fare a strutture sanitarie per i loro dipendenti, ad aziende che si organizzano per gestire i percorsi – esorta l’infettivologo –. I cittadini lascino perdere”.

Una posizione, quella di Chichino, che certamente farà discutere, ma che non si discosta troppo nella sostanza da quanto sostenuto sia dal ministero della Salute, sia delle Regione. Il dicastero di Roberto Speranza in una circolare indica nel tampone l'unico esame che può dare certezza della positività. La stessa circolare chiarisce che i test sierologici possono essere utili nell'identificazione degli asintomatici, ma il contraddittorio documento del Ministero si fa scappare alcuni passaggi meno scontati, come la considerazione che i test rapidi "non offrirebbero evidenze prodotte da organismi terzi in relazione alla loro qualità”. Insomma, il ministero offre una sponda istituzionale alle Regioni, ma da queste e dal Piemonte rimbalza al Governo la richiesta dell’assessore Luigi Icardi, nella sua veste di coordinatore per la sanità in Conferenza delle Regioni: “Serve una strategia chiara nazionale”. Il rischio è quello di non poter eseguire tamponi per tutti.

La stessa inversione di rotta della Regione che prima aveva vietato e poi concesso ai privati di sottoporsi autonomamente e senza neppure la prescrizione medica al test, racconta come sul tema non sia stata scacciata la confusione. Medici di famiglia che attivano il Sisp, persone positive al test che chiedono lumi, quarantene disposte e quarantene che non si attuano, Comuni che si spingono avanti sugli esami sierologici e poi devono fare i conti con positivi che temono di dover restare in casa non si sa fino a quando, tamponi attesi che non si fanno.

Oggi, quando si avvia un ritorno a una parziale normalità, avere quanti più strumenti possibili per individuare positivi asintomatici è cruciale. I test sierologici potrebbero contribuire a delineare la diffusione del virus in Piemonte, ma serve una catena efficiente e rapida. Tamponi per confermare l’eventuale infezione e contagiosità in corso, presa in carico chiara dei positivi al test, misure rapide di isolamento e altrettanto rapide per uscirne quando non più infetti. È questo ciò che, insieme ad altro, serve nella Fase 2 sul fronte sanitario. Per evitare che, come dice con crudezza l’infettivologo Chichino, i test siano utili “solo a chi li offre".

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