VERSO IL 2021

"Abbiamo perso per colpa nostra, ma la lezione ci è servita"

L'autodafé di Lo Russo, capogruppo Pd in Sala Rossa. Quattro anni di "traversata nel deserto" per rimettersi in sintonia con Torino e cogliere "quelle aspettative di rinnovamento da noi sottovalutate". Un progetto "per" e non "contro"

«Speranze e aspettative legittime di cambiamento, per troppo tempo disattese da un centrosinistra un po’ distratto, lontano e autoreferenziale, si saldarono con l’invidia, l’odio e il rancore sociale e con questo clima si aprì la stagione grillina torinese. Quella fu un’elezione “contro”. Contro qualcuno e non per la città». Una riflessione che ha il sapore amaro dell’occasione perduta e il retrogusto persistente e deciso dell’autodafè, quella del capogruppo del Pd in Sala Rossa Stefano Lo Russo, quattro anni dopo la cocente sconfitta che chiuse definitvamente un’epoca portando Chiara Appendino e il Movimento 5 stelle al governo di Torino. Con maggiore onestà e nettezza rispetto a molte analisi non esita a indicare le colpe del suo partito, prima fra tutte quella di non aver colto i fortissimi segnali che arrivavano dalla città, di cui abilmente seppe far tesoro di voti la giovane grillina. Un’autocritica, per usare la terminologia archiviata alla storia della sinistra, da cui inevitabilmente il Partito Democratico deve partire, o comunque dalla quale non può prescindere, per imboccare la parte finale verso il voto del prossimo anno di quella che Lo Russo definisce “la lunga traversata nel deserto”.

Se quattro anni fa più che votare per Appendino e il programma dei Cinquestelle la maggioranza dei torinesi ha votato contro il Pd, una ragione, o anche più d’una, ci deve’essere. Oltre alla più volte ascoltata spiegazione che rimanda al mancato ascolto delle periferie, difficile pensare non ci sia stato anche altro. Solo quello l’errore commesso dal centrosinistra?
“Certamente no. Il centrosinistra negli ultimi anni si era chiuso molto in una dimensione istituzionale, facendo coincidere l’iniziativa politica con quella amministrativa perdendo di vista le problematiche nuove che stavano emergendo, soprattutto nelle periferie”.

Non le ha viste o non le ha volute vedere quelle problematiche?
“Io penso sia stata la dimensione di un errore collettivo. Diciamo che se le ha viste le ha sottovalutate”.

Così ha aperto la strada ai grillini, che hanno raccolto segnali ma anche urla da voi non percepiti o percepiti come semplici sussurri. Non è così?
“Odio, invidia, rancore sociale. E poi ricorderò sempre l’endorsement di Matteo Salvini a favore di Appendino. Non hanno lavorato per la città, ma contro il centrosinistra”.

Di tutto questo però c’erano segnali che se ascoltati avrebbero potuto evitarlo. Non crede?
“Segnali c’erano e non sono stati colti. Questo l’errore più grande”.

Il fatto di aver avuto esponenti di primo piano dell’amministrazione che avevano anche ruoli imporanti nel partito ha nuociuto?
“Può essere stata una delle concause ed è un rischio che non va corso nel futuro”.

L’immagine logora del centrosinistra che nel 2016 si presenta agli elettori…
“Si tiene con quello che ho detto poc’anzi. C’era una sostanziale difficoltà a percepire l’istanza di rinnovamento che arrivava dalla città e anche quella di essere capaci di coniugare la strategia di sviluppo con le nuove tematiche che nel frattempo erano emerse in maniera prepotente, soprattutto nelle zone periferiche della città”.

Tuttavia, non ci è voluto molto per vedere elettori della Appendino delusi, un numero in continua crescita. Magra consolazione per voi.
“La sindaca ha goduto di un’enorme apertura di credito e ha sprecato un patrimonio importante rapidamente. Quando i progetti non hanno una struttura, una logica e una coerenza hanno fiato corto. In breve tempo i torinesi si sono resi conto che non era quella la prospettiva che serviva alla città. Il pressapochismo amministrativo e la mancanza di capacità di individuare le strategie ha radicalmente peggiorato una crisi già in essere”.

Che Torino è quella che vorreste tornare a governare?
“Una città sostanzialmente ferma, basta pensare a tutta la trasformazione urbana, non uno dei progetti di Appendino si è concretizzato: dal Palazzo del Lavoro allo scalo Vanchiglia e la stessa linea 2 della Metro osteggiata molto nei primi due anni di mandato salvo poi rincorrere dopo”.

Senta, ma non vi è parsa l’ennesima operazione tattica di cui siete finiti vittime il cambio repentino della sindaca che in campagna elettorale ha attaccato a testa bassa il Sistema Torino, arrivando a chiedere la testa di Francesco Profumo e adesso lo ha appena riconfermato alla presidenza della Compagnia di San Paolo? Appendino vi ha ricordato come si cambia quando si è al potere, con un prezzo tutto sul vostro conto?
“Appendino è stata molto scaltra nel catturare il consenso e la rabbia e nel portarli a capitale elettorale. Una volta insediata ha disatteso le ansie di cambiamento e io aggiungo fortunatamente perché dove le ha portate avanti ha scelto persone di modestissimo valore e in taluni casi anche piuttosto ambigue sotto il profilo dei comportamenti”.

Adesso tocca a voi. Su questi cocci cosa vuole fare il centrosinistra?
“Il centrosinistra ha già incominciato la costruzione di una progettualità estesa alla città metropolitana, quantomeno all’area urbana di Torino”.

Un progetto per la Grande Torino?
“Un progetto che individui assi rilevanti, che sia credibile, fattibile, non contraddittorio nel momento in cui nasce. Trasformazione della città che occorre declinare in forma di area vasta, non basta una variante parziale del piano regolatore ma va avviato un grande piano territoriale che tenga conto del valore aggiunto dell’area metropolitana. Poi infrastrutture strategiche, nodi da risolvere nei trasporti come la tangenziale e i collegamenti con la Liguria, per rendere il territorio accessibile a attrattivo. Valorizzare aziende con priorità alla manifattura e alla relazione sempre più stretta tra attività industriale e sistema dell’alta formazione. E ancora, una strategia per ricollocare la città a livello internazionale, una nuova progettualità sul sistema culturale. Poi ambiente inteso come qualità della vita e penso ai parchi e agli assi fluviali. Quarto punto, non certo ultimo per importanza, la gestione delle fragilità sociali e demografiche”.

La porta a una alleanza con i Cinquestelle è davvero definitivamente chiusa?
“A me pare di sì. definitivamente chiusa. Auspico che il partito nazionale consenta ai territori di determinare le proprie strategie”.

Sembra nutrire qualche dubbio o qualche timore.
“No, su questo sono molto fiducioso”.

Moderati e Italia Viva hanno posto da subito e con forza la pregiudiziale: mai con il M5s.
“Io credo che questi ragionamenti non debbano partire da pregiudiziali, ma è del tutto evidente che la linea politica che abbiamo assunto esclude categoricamente ogni accordo con i Cinquestelle. Noi non dobbiamo fare qualcosa contro il partito di Appendino, noi dobbiamo fare un progetto per la città”.

I vostri avversari saranno due.
“Non dobbiamo sottovalutare nessun avversario, ma quello da battere è il centrodestra. Se saremo capaci di allargare la piattaforma politica il problema sarà loro”.

Bisogna fare le primarie senza se e senza ma?
“Certamente. Sono lo strumento che consente di individuare il candidato che maggiormente è in grado di rappresentare l’insieme delle forze della coalizione. Primarie aperte a tutti i cittadini. E non trascuriamo la loro funzione di mobilitazione. Se fatte non troppo tardi, quindi entro novembre come indicato dai segretari regionale e metropolitano, consentono di arrivare ad avere quei tre o quattro mesi necessari per consolidare l'indispensabile rete di relazione con la città. Nella tradizione del centrosinistra le primarie portano alla legittimazione ampia e popolare di un candidato selezionato in maniera trasparente. Non  scelto in stanze chiuse o peggio ancora, lontano da Torino”.

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