EMERGENZA SANITARIA

Pochi medici nelle Usca,
un flop le cure a casa

La Regione Piemonte strombazza la firma di un'intesa per il trattamento domiciliare dei malati Covid. Ma tutto rischia di rimane sulla carta per la carenza di personale, peraltro già oberato di lavoro. Situazione critica soprattutto a Torino

Aumentano colonnelli e generali, ma sul campo le truppe restano quelle. E sono poche e mal equipaggiate. Nella dura battaglia contro il Covid la Regione Piemonte ha sottoscritto un verbale d’intesa con cui “potenziamo e mettiamo a sistema i processi di cura domiciliare che abbiamo via via implementato dalla scorsa primavera ad oggi” esulta l’assessore alla Sanità Luigi Icardi. E così anche la continuità assistenziale avrà il suo riferimento nella già più che pletorica Unità di Crisi regionale e così anche per tutte le aziende sanitarie. Il documento è stato approvato da Regione, Direzione Sanità e Welfare, Dirmei, Unità di crisi, Prefettura di Torino (anche per le altre prefetture del Piemonte), Aziende sanitarie locali, sindacali dei medici di medicina generale e ordini professionali. Insomma, mancavano solo la Farnesina e l’Onu. Ma l’esercito, in fondo, è già dispiegato per allestire gli ospedali da campo all’Allianz Stadium e a Torino Esposizioni.

Il problema è che oggi tutte le Usca (Unità speciali di continuità assistenziali) del Piemonte possono contare complessivamente su 198 medici di  continuità assistenziale, 122 medici in formazione, 175 neolaureati e 9 specialisti ambulatoriali. In tutto 504 unità di personale medico (il dato è al 9 ottobre e comprende dunque buona parte delle implementazioni effettuate in primavera di cui parla l’assessore Icardi). Oggi seguono, in appoggio ai medici di famiglia, tutti quei positivi in isolamento domiciliare e costituiscono un argine ai ricoveri incontrollati che stanno mettendo sotto pressione gli ospedali. Poco più di cinquecento unità per oltre 61mila persone positive che necessitano di assistenza nelle loro abitazioni.

Un mese fa, quando i contagiati in casa erano circa 5mila, i medici delle Usca erano impegnati per circa 19 ore settimanali a testa (409 visite a casa per sorveglianza, 15 visite post ricovero, 31 visite in rsa, 864 visite ad asintomatici, 14 a sintomatici in rsa più attività varie), oggi per far fronte agli attuali 60mila positivi dovrebbero avere a disposizione oltre 220 ore settimanali. Insomma, dovrebbero lavorare 32 ore al giorno. È indubbio che quell’esercito di medici di continuità sia stato rimpolpato, ma verosimilmente non più di qualche unità, forse una o due decine. Ecco perché in Piemonte gli ospedali continuano a essere intasati.

Una situazione particolarmente grave è quella del capoluogo. “Ben dieci Usca delle diciannove unità presenti adesso a Torino città sono state attivate solo a ottobre, mentre gran parte delle altre Asl lo hanno fatto tra marzo e aprile – denuncia il capogruppo di Luv in Consiglio regionale Marco Grimaldi –. Il dramma di questo ritardo si riflette nitidamente sulla (in)capacità di seguire pazienti Covid a domicilio: dei 16.095 pazienti presi in carico da tutte le Usca piemontesi, da aprile a settembre, 9.842 sono residenti nel resto del Piemonte, 5.156 nella provincia di Torino e solo la miseria di 1.097 sono quelli presi in carico (a domicilio e nelle Rsa) dalla Asl To1”. In pratica, aggiunge Grimaldi, “a Torino solo lo 0,125% dei residenti è stato contattato da un’Usca, rapporto che sale allo 0,367% nel resto della Provincia fino a raggiungere lo 0,516% nel resto del Piemonte: i numeri sono estremamente bassi in tutta la regione ma quelli del capoluogo sono semplicemente imbarazzanti e si spiegano in parte con le mancate assunzioni di personale”.

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