TRAVAGLI DEMOCRATICI

"L'usato non è più sicuro, serve un gioco di squadra"

Per uscire dall'impasse il Pd di Torino non deve guardare indietro. "Certi vecchi non hanno salvato la patria in passato e non lo faranno neanche oggi". E Salizzoni "temo possa essere visto come un ripiego". Parla Ardito, ultimo segretario Pci

“È ora di dire basta all’usato sicuro, perché abbiamo visto che non sempre funziona, anzi”. Giorgio Ardito, classe di ferro 1942, ultimo segretario del Pci di Torino, nelle ore successive al ritiro del rettore del Politecnico Guido Saracco lancia un monito che ha i tratti sinistri di una profezia. Può permetterselo, lui che ha vissuto da protagonista stagioni complicate, partecipando direttamente alla scelta di candidati a sindaco di Torino come dei vertici di altre istituzioni, richiamare una generazione, che poi è la sua, a fare un passo di lato, a lasciare spazio e responsabilità alle nuove leve che, bene o male, sono emerse dal pantano in cui è piombata la politica cittadina. E sembra voler avvertire del rischio che comportano soluzioni di ripiego, le classiche foglie di fico che in questo caso non riuscirebbero a nascondere le pudenda di un partito, il Pd, rimasto in braghe di tela.

Ardito, cosa dovrebbe fare ora il Pd?
“Non è facile, il gruppo dirigente ha un’equazione da svolgere con troppe incognite. È una situazione talmente anomala che necessita un po’ di fantasia”.

Dunque?
“Personalmente non sono un fanatico delle primarie, ma sono nello statuto e a oggi ci sono più candidati e quindi si devono fare. Però c’è il Covid…”

Quante incognite. Da che parte iniziare?
“Bisogna mettere attorno a un tavolo i candidati e con loro trovare una sintesi, individuare un primus inter pares attorno al quale costruire una squadra”.

Facile a dirsi. Intanto il passo indietro di Saracco pare abbia dato forza a una suggestione, quella di candidare Mauro Salizzoni, il mago dei trapianti, figura di alto profilo, particolarmente sponsorizzato da quella sinistra dem di cui lei stesso fa parte…
“Ho grande stima per Salizzoni, per la sua storia professionale e il suo attuale ruolo in Regione, ma temo davvero che oggi la sua candidatura sarebbe letta dai più come un ripiego del Pd per uscire dall’impasse”.

Per lei non sarebbe la soluzione migliore?
“Sarebbe l’usato sicuro. Un rifugio di chi oggi appare disperato perché il cavallo su cui aveva puntato ha deciso di non correre”.

 E allora torniamo all’inizio dell’equazione. Come uscirne?
“Partiamo da un dato di fatto e cioè che non abbiamo un nome in grado di sbaragliare, un campione indiscusso su cui coagulare tutta la coalizione e quei corpi intermedi che oggi guardano al centrosinistra”.

E questo sembra assodato.
“Bene. Allora serve un grande sforzo di tutto il gruppo dirigente, di coinvolgimento delle persone e degli alleati per consolidare la coalizione attorno a un programma e da lì far emergere un nome che, con l’aiuto di tutti possa puntare a guidare questa città. In questo senso parlo di un primus inter pares, antitesi dell’uomo solo al comando”.

Però finora, rispetto al percorso ufficiale del partito, c’è stato chi ha tessuto parallelamente la propria tela. Non c’è il rischio che il partito si esprima sempre con troppe voci?
“Parlo da semplice attivista che ormai ne ha viste tante. Certi vecchi devono smetterla di lavorare dietro le quinte perché non hanno salvato la patria in passato e non lo faranno neanche oggi. Serve piuttosto un percorso trasparente e lineare in cui, se possibile, emerga un quarantenne o cinquantenne. Gloria a Dino Sanlorenzo che quando non aveva ancora compiuto sessant’anni rifiutò una candidatura in parlamento perché disse che era ora di passare la mano”.

print_icon